(punto di domanda finale a discrezione del lettore)
Probabilmente, se sei un videogiocatore di vecchia data, ti ricorderai del personaggio di cui sto
parlando: Guybrush è un giovane mucchietto di pixel che, nel 1990, inizia la sua avventura su Monkey Island, proclamando “voglio essere un
pirata!”. Da quel momento la sua vita è un continuo tentativo di raggiungere il suo scopo,
esplorando, cercando di combinare tutti gli oggetti che gli capitano a tiro, evolvendosi di livello
in livello.
In questi giorni sto riflettendo sulle differenze fra la sua vita e la mia, notando punti in comune
e differenze.
Prima di Natale sono stato in ballo qualche settimana su vari colloqui con un’azienda: ci sarebbe
stata la possibilità di trasferirsi a lavorare in Irlanda, cominciare un lavoro nuovo, in una casa
nuova, conoscendo gente nuova. La prima analogia mi è venuta alla mente mentre una sera stavo
guardando quello che avevo intorno, a casa mia.
Quello che mi si stava presentando era l’inizio di un nuovo capitolo della mia vita, proprio come
succede nelle avventure come quella di Gubrush. Il mio ultimo obiettivo era costruirsi una casa, in
senso ampio: trovare la casa, trovare il sistema di comperarla, trovare tutti gli oggetti
incontrati lungo l’esistenza, sapendo che prima o poi potranno tornare utili. Poi, piano piano,
ogni cosa prende il suo posto, fai il mutuo, trovi i mobili, poi metti da parte qualcosa, riesci a
comperare la cucina, il divano, lo spazio vuoto sulle pareti si riempie proprio con il quadro che
stavi cercando, le fotografie, poi il caminetto, l’impianto surround, il telefono che evolve in
ADSL e poi wi-fi, il servizio di piatti in tinta, i gerani d’estate. Tutto è completo, perfetto, al
punto che è difficile sapere cosa andare a toccare.
Quando la situazione sembra stagnare, “tac!” missione compiuta, prepararsi al capitolo
successivo.
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