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Ieri ho provato una nuova esperienza, l’arrampicata in una palestra di roccia.
Un mio collega ha cambiato lavoro da poco, e per mantenere un po i contatti mi ha invitato a condividere una sua passione, l’arrampicata.
Ci siamo dati appuntamento a Solna in una palestra che si chiama Klattercentret (appuntata anche sulla Stoccolmappa, con il simbolo di una piccola frana rossa (!) ).
All’ingresso, mucchi su mucchi di scarpe, appoggiate ovunque. Come in ogni casa svedese che si rispetti, si gira scalzi. L’ingresso, compreso il noleggio di imbragatura e scarpe, costa 150 SEK, circa 15€. Dopo aver oltrepassato il piccolo bar, si entra nella palestra vera e propria, con un colpo d’occhio notevole: dal piano rialzato si possono vedere le pareti attrezzate, ricoperte da centinaia di piccoli appigli di forme e colori diversi. Nello stanzone alto una ventina di metri echeggiano una discreta musica dance e le voci di decine di persone, la maggio parte ragazze. C’è chi fa stretching, chi ovviamente si abbarbica alle pareti, chi istruisce, chi tiene ferme o annoda delle corde. La parete opposta della palestra è divisa in due piani, con arrampicate molto più basse e con materassi al posto dei pavimento: lì si fa bouldering, ovvero arrampicata ma senza corda o strutture di sicurezza, ma con pareti stranissime a pendenze negative!
Il concetto è piuttosto semplice: ogni parete ha un colore diverso e una nota che ne riporta il grado di difficoltà generale, dato dall’altezza e dal tipo di pendenze e di appigli.
Sulla stessa parete ci sono diversi “sentieri” composti da appigli di colori diversi, a seconda della loro tecnicità. Studiare comepassare da un appiglio all’altro in modo intelligente e senza fare sforzi inutili (o impossibili) è la parte più intellettuale dello sport. Ogni appiglio ha una forma diversa, e deve essere afferrato con il palmo, o con le dita, o con il pollice, offre “grip” se si tira in una certa direzione. Non per nulla, le configurazioni degli appigli si chiamano “problemi”, e periodicamente la palestra li cambia per variare l’esperienza.
Sulla sommità delle pareti più facili c’è un moschettone da cui pendono i due capi di una corda: nell’arrampicata ci vogliono sempre due persone: oltre a chi sale, che ha un capo annodato alla propria imbragatura (nodo savoia doppio), ci vuole una persona con una certa abilitazione tecnica (molto semplice da ottenere, comunque) che aziona il freno. Il suo scopo è ritirare la corda mano a mano che l’arrampicatore sale, per tenerla più o meno in tensione. Se l’arrampicatore perde la presa, la persona da basso, con il suo peso, ne impedisce la caduta.
Una volta arrivati in cima, ci si lascia scivolare giù, come si fa con il metodo della corda doppia.
I primi tentativi non sono problematici, anzi, si sale con una certa rapidità, e senza troppi sensi di vertigine, se si usano tutti gli appigli disponibili. Quando si prova a usare solo il “sentiero” di un certo colore le cose cambiano, i passaggi vanno studiati con attenzione e bisogna prendere familiarità con gli spostamenti di equilibrio e gli “slanci” calibrati. Vedere persone capaci fare bouldering da un veramente l’idea di quanta agilità e finezza tecnica si possa acquisire.
L’esperienza è stata davvero interessante, e merita di essere approfondita. L’atmosfera è molto cordiale, amichevole e rilassata, e non ho avuto modo di incontrare “animali testosteronici da palestra”, cosa senz’altro positiva.
Ho scattato alcune foto, inclusi alcuni filmati con Cristoffer che fa qualche espirimento: meritano!