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Stoccolma, mezzanotte. Buon solstizio a tutti!
Sono le otto di una fredda sera di Novembre. La pallida luce del giorno ha lasciato il passo alla notte da molte ore ormai, la colonnina di mercurio dei termometri si è rincantucciata ben sotto lo zero. La strada è spazzata da un vento tagliente, che sposta capricciosamente dune di nevischio ghiacciato. Un paio di sventurati passanti si stringono il bavero della giacca e, a capo chino, cercano rifugio in un negozio aperto, come se avessero presagio di ciò che sta per accadere.
A un tratto, da una posizione imprecisata, riecheggia un richiamo surreale, che rimbalza fra le case. Nessuno risponde, ma è certo che in ogni abitazione il messaggio sia arrivato. I bambini che sono a letto spalancano gli occhi e tendono le orecchie, forse hanno sentito male. I genitori nella stanza a fianco si guardano e fanno finta di niente, nella speranza che i figli non si siano svegliati.
Da qualche parte, nell’oscurità del profondo nord, si aggira la Hemglassbilen!
Io in quasi tre anni di vita qui in Svezia non l’ho mai vista con i miei occhi, sebbene più volte abbia sentito il suo richiamo misterioso negli orari e nelle condizioni metereologiche più imprevedibili. Di cosa si tratta dunque? Nientemeno del furgoncino del gelataio!
Avete capito bene. Per somministrare uno scampolo di estate in ogni periodo dell’anno, in qualsiasi condizione, il furgoncino dei gelati gira per la città. Al sentire la sua musichetta i bambini porgono le loro richieste ai genitori, che mi immagino in questi giorni indossare scarponi e sciarpe per scendere ad acquistare l’ambito dessert.
Si tratta di una vera e propria istituzione ormai, dato che il primo servizio aprì nel 1968, espandendosi poi in varie città del paese e nel resto del Norden. I gelati sono confezionati, la gamma include coni, biscotti, ghiaccioli e vasche da 2 litri, nonchè un prodotto di categoria “alta”, l’ Antica gelateria del Corso.
Come accade altre volte, l’idea non si è fermata, e il servizio si è evoluto nel tempo. Sul sito internet di Hemglass è possibile consultare il catalogo, acquistare gelato online in modo che il furgone arrivi con l’ordine già pronto, trovare ricette e concorsi, e persino comporre suonerie personalizzate per il proprio cellulare!
Ma la cosa che mi affascina più di tutti è il link “Quando arriva la Hemglassbilen“: una mappa interattiva in cui è possibile vedere le fermate più vicine a casa propria, gli orari, e anche la posizione GPS del furgone in un preciso momento!
Guardate bene, dunque, la Hemglassbilen è lì fuori, e forse sta aspettando proprio voi!
E’ passato un anno.
Esattamente un anno fa, grossomodo a quest’ora, atterravo nell’insignificante aeroportino di Skavsta, con il primo biglietto aereo di sola andata che avessi mai acquistato, del costo di 0,01 Euro (tasse escluse).
Tutta la mia roba, tutta la mia vita, impacchettata in un famoso metro cubo, e poche, pochissime certezze su ciò che sarebbe stato della mia vita. Sapevo solo che tutto sarebbe stato nuovo, tutto sarebbe stato vergine, da costruire, che nulla poteva essere dato per scontato. Mi ero anche ripromesso di non fare bilanci, di non esprimere giudizi prima di un anno, quando avessi avuto modo di valutare le cose fino in fondo.
Ebbene, un anno mi è servito solo a rendermi conto che… ci vuole molto più di un anno per fare bilanci. Guardandomi alle spalle non posso certo dire di essere lo stesso di uno o due anni fa, quello che cercava una soluzione a qualcosa che non era neppure certo che fosse un problema. Certo tutti cambiamo, tutti abbiamo i nostri momenti chiave che fanno prendere alla vita direzioni diverse. Ma quello che più ha inciso sul mio modo di essere è il cambio di prospettiva, l’allargamento dell’orizzonte, l’attraversamento della linea d’ombra.
Molte cose sono successe durante quest’anno: ho trovato nuovi amici che condividono parte delle mie esperienze, ne ho persi altri a causa della distanza o più spesso per causa mia, altri non influenzati dallo spazio-tempo rimangono a orbitare nel mio universo. Ho preso più aerei di quanti non ne abbia presi nel resto della mia vita, ho guidato pochissimo l’automobile ma in compenso ho provato nuovi mezzi di locomozione su acqua, neve, ghiaccio, ho conosciuto la cucina sarda e il sushi, ho imparato a capire persone che parlano una lingua astrusa e so mettere la “å” nel posto giusto dell’alfabeto, ho toccato i miei estremi di temperatura e latitudine, ho traslocato tre volte rendendomi conto che sempre di più di ciò che possiedo è superfluo, ho praticamente rinunciato alla televisione, ho votato in un paese che non è il mio, ho girato scalzo per casa di persone che conoscevo a malapena.
Ma non è quello che ho fatto. E’ la consapevolezza di quello che ancora potrò fare. Strade nuove, aperte, conoscenze, imprevisti, salite e discese. Mentre parlavo inglese con una norvegese a tavola di uno svedese mangiando manzo Uruguayano con salsa bernese, mi è stato detto: “solo quando avrai perso completamente te stesso potrai sapere chi sei veramente”. Filosofo, naturalista, maestro d’arme e rime, musicista, viaggiatore ascensionista, istrione ma non ebbe claque, amante anche, senza conquista. L’unica cosa su cui contare, il mio pennacchio.
Non so dove sarò fra un anno, CHI sarò fra un anno, cosa sarà successo. Ma il “Capitano mio Capitano” è tornato alla barra, dritta avanti tutta, questa è la rotta, questa è la direzione.
Continuo a rimanere perplesso e un po incredulo su come i rapporti fra le persone si gestiscano in modo diverso quassù in Svezia, o nei paesi nordici in generale. Lascio che a raccontare sia l’esperienza di oggi.
Alcune persone del cliente per il quale lavoro, in uno dei progetti più grossi ed importanti che mi siano mai stati assegnati, sono venute da Oslo a Stoccolma per partecipare a un corso di aggiornamento tecnico: la capo progetto e due “responsabili di settore”. Alla notizia la mia immaginazione lavorativa primordiale ha immediatamente ricreato uno scenario familiare e collaudato: obbligo di cravatta in ufficio e dintorni (rafforzato da “suggerimento” del responsabile del personale, intermediato da e-mail della segretaria), ricevimento servile e in pompa magna con buffet in pausa pranzo, serata fra commerciali e capi-progetto in esclusivo ristorante di lusso in centro città, con quel fasto un po posticcio e arraffazzonato del “completo buono” tirato fuori nei giorni di festa. Con una presenza esclusivamente maschile e in tempi lontani dalla crisi non si sarebbe esclusa nemmeno una puntata del “gotha” dirigenziale ad un night club.
Questo quadro si è dipinto in un secondo nella mia mente, e subito ha cominciato a vacillare. Vista la calura praticamente insopportabile di questi giorni (26°C) le mie colleghe hanno pensato di organizzare una pausa pranzo con bagno nel mare sul quale si affacciano i nostri uffici. Per cui si è deciso di presentarci in tenuta estiva, costume da bagno ed asciugamano, e abbiamo scritto alla capo-progetto S di portare con se costume ed asciugamano, suggerimento accolto con entusiastica mail di risposta.
Oggi la delegazione si è presentata in abiti estivi ed informali, “S” sfoggiante una nuova acconciatura con ciocche blu (“che si intonano al colore dei miei occhi”). Purtroppo il bagno è saltato causa incertezza metereologica. Si è fatta invece una passeggiata alla tavola calda più vicina per acquistare portate da asporto, prevalentemente panini ed insalate. Tornati in ufficio, ci siamo sistemati in cucina insieme agli altri colleghi, ed abbiamo consumato il nostro pranzo in chiacchiere informali, solo occasionalmente relative al lavoro.
In serata il nostro capo-progetto J ci ha invitati tutti a casa sua per un Barbecue. Dopo aver accompagnato i clienti a lasciare le valigie in albergo (con una seconda passeggiata), abbiamo chiamato un Taxi per raggiungere un quartiere periferico di Stoccolma, formato da piccole villette con giardino in stile “Desperate Houswife”. Siamo arrivati in contemporanea con J, che è sceso dall’auto con le borse della spesa e ci ha aperto la porta.
Entrati in casa ci siamo ovviamente tolti le scarpe e ci siamo sistemati in cucina. La famiglia di J ha lasciato campo libero, andando in visita dai nonni. Dopo un primo aperitivo ognuno ha cominciato a fare la propria parte, chi mettendo a bollire le verdure, chi preparando il fuoco e la carne, chi preparando gli stuzzichini, chi apparecchiando il tavolo nel giardino sul retro. A me è toccata a sorpresa la preparazione del Tiramisù (che non è riuscito affatto male, sebbene sia ancora qui a pregare che domani non siamo decimati dalla salmonella), mentre finivo di preparare la capo-progetto S sciacquava gli utensili che avevo utilizzato, includendo nel lavaggio anche alcune tazze presenti nel lavandino al nostro arrivo.
Quando tutto è stato pronto ci siamo accomodati a cena, fino circa alle nove e un quarto/nove e mezza quando si è condiviso un secondo Taxi per tornare a casa.
Tutta questa informalità non deve però trarre in inganno, non si tratta di assenza di regole, ma di un codice diverso e basato su un diverso concetto di rispetto. Proprio la cena è stato il momento in cui mi sono reso conto di dover fare ancora molta strada per comprendere e condividere quelle regole di comportamento tanto radicate da essere date per scontate, e quindi facili da infrangere anche nella più buona delle fedi. Sono regole tanto radicate che chi le segue non si rende nemmeno conto di farlo, ed inoltre cercare di capire cosa stia succedendo è difficile perchè non sai se quello che stai notando sia un’eccezione del momento o la norma.
La bottiglia di vino che ho portato come contributo alla cena non è stata ne aperta ne messa in tavola, ma è rimasta in cucina. In tavola tovaglia (e tovaglioli!) non occorrono. La prima persona ad essere servita è quella che viene da più lontano. La pietanza viene portata in tavola da chi l’ha preparata, tutti si preparano il piatto ma NON si inizia a mangiare sino a quando il padrone di casa non lo dice esplicitamente. NON si lascia cibo nel piatto, e al primo invito al bis nessuno rifiuta. In compenso dopo il bis il padrone di casa non invita specificatamente a servirsi di nuovo. Il brindisi ha ben poco a che fare con il nostro “cin cin”, ma si solleva il bicchiere e ci si guarda negli occhi con CIASCUN commensale prima di bere e di riguardarsi nuovamente negli occhi (questa “cerimonia” in particolare è così veloce e “implicita” che non ne ho ancora afferrato nel dettaglio le dinamiche. Dovrò investigare.) Il silenzio a tavola è tranquillamente tollerato, e per niente imbarazzante. Quando la conversazione vira sullo svedese/norvegese per un pò, qualcuno passa all’inglese per includermi meglio nella conversazione, a volte cambiando lingua nel mezzo di una frase! Interrompere qualcuno mentre parla per esprimere apprezzamento è malvisto, farlo per “rilanciare” (“eh, ma questo è niente! Pensa che a me è successo che…”) è praticamente un delitto. Nei discorsi fare assolutismi (“sicuramente si tratta di” oppure “questa cosa succede SEMPRE”) o esagerare per enfatizzare (“quando vedo le cozze in lattina mi viene la pelle d’oca”) causano il sollevamento di alcune sopracciglia e sorrisi vagamente ironici e schernitori.
Non avevo aggiunto del liquore nel tiramisù (cosa incomprensibile per i locali, un po come mangiare gli spaghetti senza le relative polpette, o una pizza senza ananas), per cui J ha portato in tavola una bottiglia di Ruhm invitando chi volesse ad aggiungerlo alla propria porzione. Più per spirito di cronaca che per altro ho detto che in effetti la ricetta originale non prevede affatto liquore (omettendo di dire “credo che”, o “che io sappia”, e quindi commettendo un assolutismo). Subito non ci ho fatto caso, ma la bottiglia di Ruhm è sparita dalla dalla tavola ed è rimasta appoggiata per terra, forse per non contraddirmi, non so, ma mi sono sentito in colpa per il resto della serata.
Insomma, se pensate che i problemi più ostici nel trasferirvi in un paese diverso siano la burocrazia o la lingua, sappiate che non si tratta di quello: sono queste sottili ed insidiose differenze che saltano fuori all’improvviso e che vi fanno ricordare che non è il posto in cui siete nati e cresciuti, e che vi possono far sentire leggermente fuori posto. Ma imparare a riconoscere e a risolvere questo tipo di situazioni davvero non ha prezzo. E per ora non sono affatto disposto a ritornare a cene di finto lusso e di sorrisi ipocriti, mi spiace, proprio no.
Lettura consigliata: “The Swedish Code (What makes the Swedish so Swedish?)” Di Uli Bruno, Marie Bengst, Silvia Nilson-Puccio. Ed. KnowWare Publications. (ISBN: 9188783456)
Dopo circa 3 mesi, finalmente ho messo a posto anche casa numero 4. Certo non è “finita”, mancano alcuni quadri, alcuni libri sullo scaffale, qualche foto in giro, ma diciamo che il grosso è fatto!
Eccone un video:
Diogene di Sinope era un filosofo greco, detto anche “Diogene il cinico”. Fra i vari aspetti della sua vita che più sono entrati a far parte della cultura comune, il più conosciuto é probabilmente la sua abitudine di sconcertare i Greci vagabondando per il paese facendo rotolare davanti a sé una botte che usava come casa, portando un lume acceso anche in pieno giorno, nell’eterna ricerca di un uomo onesto*.
Chissà cosa avranno pensato domenica scorsa gli abitanti di Solna, vedendomi portare nel cuore della notte** un mucchio di vestiti in sportine della Coop dentro un carrello della spesa sferragliante spinto con la mano destra, mentre nella sinistra reggevo questo: http://www.ikea.com/se/sv/catalog/products/50070651…
* l’ho letto a 8 anni su Topolino. Giuro.
** vabbé, le otto e mezza. Ma era buio da un sacco di tempo.
Per la prima volta dal 2 luglio, sono tornato in Italia. Sembrano trascorsi anni, sembrano trascorsi pochi minuti.
Sono come sdoppiato: una parte di me guarda i soliti posti e li trova esotici, risponde “ja” alle domande, continua ad avere reazione di sorpresa notando targhe italiane, e sorride quando ne nota una Finlandese, sente come alieno il vociare bergamasco sentito a cena, o parlato dalla cameriera (beh oddio, in effetti il bergamasco un po’ è alieno davvero 🙂 ).
L’altra metà di me sa già cosa vedrà dietro l’angolo, rivede i posti con calda familiarità e poca nostalgia, e, cosa che sconquassa emotivamente, ha la netta sensazione che sia concluso tutto, che il gioco sia finito, che Stoccolma con i suoi pro e i suoi contro sia stata solo un’illusione, e che da domani reinizi la vita “vera”.
Parlando, confondo il “là” con il “qua”.
Domani sarà ancora più intenso, rivedrò i soliti posti, casa numero 1, il paesillo, i colleghi e gli amici di sempre.
Mi sa che saremo in due a spasso, il Mauro “prima” ed il Mauro “ora”. Ci scambieremo opinioni.
Sabato IL matrimonio. Chissà chi dei due ci andrà.
Durante la caccia alla Kanelbulle di Sabato mattina, mi sono imbattuto in un piccolo caffè molto molto particolare. Si trova lungo una parallela del vialone Strandvägen che collega Nybroplan a Djursgården. Ci si arriva facilmente uscendo dalla fermata della metro Östermalmstorg (oddio, tutti questi nomi a memoria!), ed imboccando la Riddargatan, che li è leggermente in salita. Sulla destra c’è un piccolo ingresso (sabato per l’occasione era decorato con ghirlande di Kanelbulle vere!) poi una porticina che da accesso ai piani superiori.
L’atmosfera è decisamente di altri tempi, le stanze sono arredate in modo non lussuoso, ma da vera “casa di bambola”: dopo aver scelto una fetta delle meravigliose torte al bancone, e pagato a cameriere vestite di nero e grembiulino bianco, e ascoltato il soddisfatto clangore di un registratore di cassa d’altri tempi (“ca-ching!”), ci si può servire autonomamente di tazze di the e caffè in varie stanzine, con tavolini, sedie imbottite e non, sedie a dondolo, divani, tutti diversi l’uno dall’altro, tutte rigorosamente stile fine-800. Dalle pareti decorate con le carte da parati più diverse, occhieggiano quadri, quadretti, dipinti, foto e finestrelle che danno sulle altre salette.
Qua e là, a dare il nome al locale, occhieggiano curiosi dei gatti di ceramica.
Purtroppo non sono riuscito a scattare foto, ma, fidatevi, merita una visitina. E’ sulla Stoccolmappa.
C’è un aspetto della vita in questa grande città che non avevo messo in conto, o almeno non in queste proprorzioni: centinaia, forse migliaia di persone vivono qui come me, proveniendo da paesi diversi e con una rete di amicizie nuova e mutevole.
E’ molto facile e spontaneo quindi trovarsi, organizzarsi, condividere esperienze, così diverse e così simili. Come avrete potuto immaginare dalla diminuita frequenza dei post, molte poche delle mie serate sono spese in casa, nonostante l’autunno abbia già cominciato ad imperversare.
E la conoscenza della storia e delle persone di questo paese si mescola con strade provenienti da tutto il mondo, e un mare di lingue, espressioni, esperienze, tutte accomunate dall’inglese e dai tentativi di condividere una base di rudimentale svedese.
In queste settimane ho conosciuto una coppia italo-colombiana, un liutaio e una designer che condividono un appartamento e serate festaiole, un’impegata contabile italiana con la quale andare a vedere partite di hockey con giocatori che entrano in campo uscendo da un caminetto, sono uscito a prendere una birra con Dragomir e IIvan, due bulgari che raccontavano del cambio di regime dell’89 e di come fossero scappati dal loro paese a nuoto lungo un fiume (per essere poi arrestati), ed essere arrivati qui dopo aver lavorato in Messico, Germania “così per vedere come si vive in Svezia”. Ho conosciuto Mark, un economista in cerca di lavoro che gira per Stoccolma in bicletta e ha visto la neve per la prima volta qui insieme alla sua ragazza Svedese, perchè a Sidney dove viveva non era mai caduta. Sono andato a giocare a bowling con Chris e Andrew, ragazzi del nord Inghilterra che lavorano nei boschi e nei parchi come vivaisti e taglialegna, insieme ai loro colleghi Pasi, finlandese, e Violetta e Lukas, arrivati qui dalla campagna polacca dopo un periodo passato in Olanda.
Tutto questo raccontato e commentato con M, un’avvocato di Latina con la quale si scoprono caffè in tutti gli angoli della città (cerco, a fatica, di tenere aggiornata la Stoccolmappa, o di rubare foto da mettere su Flickr), oltre a sushi bar e posti in cui fare la spesa alla sera tardi, scambiandosi accenni di grammatica svedese.
Di storie interessanti se ne stanno profilando sempre di più. E come suggerisce uno dei miei romanzi preferiti, “Non si è completamente fregati finché si ha una buona storia da raccontare…“