A spasso per Tensta, Akalla, Husby


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È passata circa una settimana dalla cosiddetta rivolta di Husby. In questi giorni in molti quartieri si sono organizzato comitati spontanei di pattugliamento. Alla fermata della Tunnelbana vicino a casa mia si esortavano i genitori a trovarsi e a stare in giro dalle 20 a mezzanotte per “fare in modo che il nostro rimanga un vicinato sicuro”. Qualche giorno di pioggia poi ha raffreddato gli animi, e l’impressione è che più che davanti a una rivoluzione culturale ci si fosse trovati davanti a un’ondata di teppismo data dall’euforia.

Come scrivevo, niente fronteggiamento di eserciti, ma ragazzi che approfittano del buio e del senso di impunità per annunciare al mondo la loro esistenza.

Ma questa è solo la mia opinione. Un pensiero, o una foto su un giornale, pur se veritieri, possono dare un’immagine abbastanza distorta. Una volta durante la Missione Arcobaleno in Albania il nostro turno di volontari è andato a cena in un ristorante per salutarsi e per dare il cambio al nuovo turno arrivato dall’Italia. Durante la cena abbiamo sentito quello che sembrava uno sparo venire da qualche parte fuori dal ristorante, ci siamo guardati tutti, poi non è successo più nulla e abbiamo ricominciato a mangiare. Con noi al tavolo c’era un inviato della Gazzetta di Modena, che il giorno dopo titolò “Volontari modenesi coinvolti in una sparatoria”. Tecnicamente corretto, ma con un punto di vista piuttosto… stretto.

Così ho deciso di fare una passeggiata per tre quartieri che sono molto vicini a casa mia ma che non avevo mai visitato: Tensta, il ghetto che più ghetto non si può, Akalla, il capolinea della linea blu di non eccezionale nomea, e Husby, teatro appunto della rivolta. Volevo fare in modo che fosse la macchina fotografica a parlare, per cui ho fatto più panoramiche possibile: tolgono un po’ al dettaglio, ma rendono l’ambiente in cui sono scattate. Più sotto trovate una mappa ed un link alla galleria di immagini, con qualche commento. Noterete che ci sono poche persone, in realtà ho fatto foto con il cellulare nel modo più discreto possibile e ho approfittato di momenti in cui non passava nessuno. Con il proseguire della passeggiata ho acquistato disinvoltura, anche perchè passeggiare guardando nello schermo di un cellulare è quasi più frequente e normale di passeggiare normalmente 🙂

L’impatto con Tensta è stato forte: avendo la “coda di paglia” mi sembrava che mi guardassero tutti, mentre invece si facevano tutti allegramente i fatti propri. Colpisce che la lingua di sottofondo sia l’arabo, e che i vestiti siano diversi (molte tute da ginnastica e veli), colpisce vedere la gente seduta sui gradini a parlare come potrebbe essere in una (vecchia) piazza di paese italiana. Le bancarelle vendono frutta e verdura più bella e varia di quanto si trovi nei supermercati in città, e il clima è allegro o comunque indaffarato. Non è molto diverso da Rinkeby o da Rissne, se non forse per un’architettura più datata delle case, e qualche sbarra alle finestre del piano terra. Di solito il posto più “degradato” è l’uscita della metropolitana, ma qui niente da dire. Decido allora di lasciare la strada principale e di infilarmi nei quartieri residenziali, ma anche qui vedo effettivamente un sacco di verde, giochi per bambini, passeggiate pedonali e piste ciclabili, tutto pulito. Non c’é traccia di violenza, se non in un manifesto che invita gli abitanti a riunirsi e parlare di quello che è successo.

Rimango quasi deluso, perchè il mio cipiglio da “inviato sul fronte” e i miei timori si stanno rivelando decisamente infondati. Devo dire che qui in Svezia (o perlomeno a Stoccolma, non ho esperienza altrove) è molto popolare la “Teoria delle finestre rotte“. Ogni segno di degrado viene rimosso appena possibile, in modo da non incoraggiarne altri. In teoria lo sforzo necessario è minore rispetto a “ripulire” una volta ogni tanto, ma non riesco a calcolare quali possano essere i costi reali. Un esempio è la metropolitana, in cui è quasi impossibile vedere treni graffitati, perchè vengono costantemente messi fuori servizio e ripuliti. Così a spasso per Tensta non dico niente macchine incendiate, ma niente graffiti. L’unico (graziato?) è una bella margherita con scritto “m’ama non m’ama”.

Sento un grosso vociare e suoni amplificati, vado a vedere che succede, e mi ritrovo in mezzo a una festa organizzata dalla scuola. Gli edifici sono belli e l’aria è festosa, ma non è facile indovinare che si tratti di cittadini svedesi.

Attraverso i cortili della scuola e mi dirigo verso Husby, deciso a trovare un posto sufficentemente degradato per il mio reportage. Vedo svettare in alto una torre dell’acqua di cemento. Un sentierino passa fra gli alberi e si intravede una rete abbattuta. Subito mi vengono alla mente depositi di immondizia, odore d’urina, graffiti, e resti di chissà cosa o chi. Mi inerpico e trovo cemento lindo, ghiaia pettinata, prato rasato e qualche panchina panoramica. A est di Tensta passa la superstrada E18, al di là della quale c’è un’enorme area verde. All’orizzonte svettano i grattacieli di Kista, la Silicon Valley de noartri de Stoccolma, e i palazzoni di Akalla e Husby. Dovrò attraversare autostrada e campi incolti per raggiungerli.

Mentre raggiungo un ponte pedonale, attraverso un campo da calcio e, in un piccolo parcheggio, vedo finalmente (?) la prova che qualcosa sia successo davvero: una macchia di bruciato sull’erba e una nel parcheggio, ma rottami e residui sono stati portati via, e l’immagine di una bravata fatta in un posto isolato prende sempre più piede rispetto alla Rivoluzione. Proseguo, attraversando il ponte, e arrivo in mezzo a un vero e proprio parco. C’è una fattoria di legno rosso e bianco con mucche (rosse e bianche) al pascolo, e un cartello turistico. Imbocco una strada ghiaiata e mi ritrovo … in un campo di Freesbee-Golf. Ovvero, una variante del Golf in cui si deve far arrivare un freesbee in “buca” con meno tiri possibili.

Niente è recintato, ma non ci sono cartacce, rifiuti, nemmeno una lattina. Attraverso il campo e mi inerpico su una collinetta, dalla quale posso osservare i quartieri circostanti. Un barbecue panoramico e una panchina colorata con le bombolette spray suggeriscono serate di ragazzi, ma nulla di particolarmente losco. Scendo dall’altro lato della collina, passo vicino a un laghetto, mi avvicino alle case di Akalla. Passo vicino a uno degli onnipresenti portoni di metallo che si aprono nelle colline di granito, fantasticando di guerra fredda o di depositi di ghiaia. I palazzoni svettano, ormai dovrei essere arrivato.

Aggirato un boschetto, mi ritrovo in una zona di Kolonilott, ovvero la versione locale degli “orti degli anziani”. Casettine, fiori, insalata, zucchine. Bimbi giocano a calcio sotto un traliccio dell’alta tensione. Mi ritrovo un mezzo ad “Akalla By”, ovvero quello che forse un tempo era il nucleo del paesino di Akalla, qualche fattoria e fienile nel classico “rosso falun”, riadattate a parco, laboratori di falegnameria e ceramica, club giardino. Fra tre casette intorno a un cortile fiorito ne spicca una con una bandiera, la bandiera delle biblioteche (?), si chiama “smultron”, fragola di bosco.

Sono quasi piccato, non è decisamente quello che mi aspettavo! Evidentemente ho mancato tutti i posti più brutti, loschi o malfamati. Un viottolo conduce verso i palazzi, andiamo a vedere.

Akalla Centrum consta di palazzi ristrutturati e di una lunga fila di palazzi paralleli come tessere del domino, che si estendono da Akalla a Husby. Alla loro base parchi, parchetti, i classici giochi per bambini e luoghi pubblici, varie scuole, un ambulatorio, un’altra bibioteca, negozi. Si vede che non siamo a Stureplan: i cibi in vetrina sono esotici, i cartelli sono sia in svedese che in arabo, i vestiti non proprio quelli di H&M. Metà dei negozi ha sbarre alle finestre, passano molti veli e caffettani, ma c’è sempre un’aria tranquilla. Provo a immaginarmi le notti di Novembre e non posso dire che sarei felice di passeggiare allo stesso modo, ma mi vengono in mente molti pochi altri posti in cui vorrei passeggiare in una notte di Novembre.

Proseguo verso una strada pedonale/ciclabile verso sud, e finalmente arrivo a Husby. I palazzi sono più alti, separati da strade avvallate ed affiancate da alberi e percorsi pedonali. Ponticelli pedonali uniscono diversi isolati. Mi incammino verso Husby Centrum. Ecco altri segni di violenza. Una pizzeria ha le vetrine infrante, riparate con il nastro adesivo. Pochi clienti sui tavolini all’aperto fumano con gli occhi chiusi verso il sole.

Il centro si sviluppa intorno all’uscita della Tunnelbana, con piccoli cortili circondati di negozi. Anche qui bancarelle di frutta e verdura, c’è un vetro rotto nella stazione della Metro ma un cartello arancione dice che le riparazioni sono già state pianificate. La biblioteca ha avuto la peggio, insieme a un vicino asilo, perchè le vetrine sono crepate. Oltre i vetri e il nastro adesivo operai lavorano per rimettere a posto, un adesivo sulla finestra dell’asilo segnala che il vetro di ricambio è stato ordinato il 20 maggio. Sembra quasi di leggere “scusate il disagio”. Proseguo in mezzo ai condominii, che si affacciano a cortili comuni. Tutti con giochi per bambini, prati curati e nessuna immondizia. La gente passeggia, chiacchiera, sembra conoscersi un po’ tutta. Mai ricevuta un’occhiata di traverso. Una bambina sbuca da un angolo, si accorge di essere sola, e comincia a piangere “mamma, mamma”, dallo steso angolo esce una ragazza col velo intorno al capo che la raccoglie la bacia e mi guarda sorridendo come per dire “i bambini, eh?”.

A questo punto veramente penserete che stia infiorettando e dipingendo tutto rose e fiori, ma vi assicuro che sono rimasto sorpreso io in primo luogo, e che mi sono impegnato per cercare di essere obiettivo il più possibile. Lascio che a parlare sia la macchina fotografica. Mi aggiro per cortili, alcune case sono vecchie, ma vi assicuro che a Modena ho visto di molto, di molto, ma di molto peggio. La stagione poi ci mette del suo, il sole è ancora in cielo, e gli alberi sono tutti verdi e fioriti, e questo da una bella “mano di vernice” al paesaggio.

Finalmente trovo alcuni luoghi che avevo visto sul giornale. Due ombre di auto bruciate sull’asfalto, ed il palazzo simbolo. Lì sotto un furgone è stato dato alle fiamme, e l’angolo dell’edificio è annerito e senza vetri alle finestre. Ma già ci sono pannelli di compensato, e la macchia scura è coperta da una gru e dal ponteggio dei restauri.

Alla fine, sono sceso in metro e sono ritornato a casa. La mia impressione? Non mi sembrano posti terribilmente degradati. Sono contento dove abito io, e non farei a cambio, ovviamente ci sono posti molto più belli, ma tutti mi sembra tranne che l'”Hotel Eroina” di Modena, o certi quartieri di Roma o Milano o Bologna in cui mi sia trovato a passare. Ovviamente questo non toglie ne aggiunge molto al tema dell’immigrazione di cui si parlava anche qui. Una passeggiata è una cosa, avere una vita, un lavoro e una buona situazione familiare è un’altra, ma non credo che guarderò più con sospetto la metro quando, ripartendo dalla mia fermata, si inoltra verso nord in un’angolo mentale di mappa che fino a ieri riportava “hic sunt leones“.

Osserva le foto nella cartina cliccando qui o nell’album di Flickr cliccando sull’immagine qui sotto:

2013-05-30 Tensta-Akalla-Husby

Il set di foto su Flickr

Cartolina da Husby

Quella che segue è una lunga lettera pubblicata sul quotidiano Aftonbladet (pubblicata in “Cultura” e non in “Cronaca”), scritta da un esponente dell’associazione Megafonen, un gruppo di uno dei quartieri protagonisti dei fatti di questi giorni. Ringrazio moltissimo la mia amica Marta per la traduzione, il suo svedese è decisamente più disinvolto del mio 🙂

Non vuole assolutamente essere un appoggio o una giustificazione a quello che succede (altre auto e edifici pubblici sono stati dati alle fiamme questa notte), ma se si vuole fare qualcosa, o anche farsi solo un’opinione, bisogna prima di tutto capire. Al di la delle idee o dei sentimenti, le situazioni raccontate sono purtroppo la realtà. E purtroppo, una realtà che trascende i confini nazionali, ed è una vera crisi d’identità della nostra civiltà:

Scriviamo prima di tutto ai nostri fratelli e sorelle di Megafonen (e’ l’associazione di giovani di Husby gemella di Pantrarna) Recentemente, abbiamo parlato con voi al telefono e mentre parlavamo vi siete interrotti a metà frase dicendo: “C’e’ una macchina che brucia, dobbiamo scappare.”

Siete nell’occhio del ciclone . Il vostro mondo è in fiamme. E noi vi scriviamo per dirvi che sappiamo che cosa state attraversando, e che vi ammiriamo per come avete gestito gli avvenimenti degli ultimi giorni.

Qualche anno fa le auto bruciavano a Biskopsgården (quartiere di Göteborg) La polizia ha fatto quello che voleva durante quelle notti, e quando arrivò il mattino, i politici,  hanno detto quello che gli pareva su di noi.

Relitti anneriti, pezzi di vetro in strada: e’ così facile giudicare quando si guarda da fuori.

Ed e’ questo che esigono da voi quando cercate di dire qualcosa a proposito della rivolta, non vogliono che voi spieghiate le ragioni ma solo che confermiate il coro di condanna, il coro che dice che è imperdonabile dare fuoco ad una macchina, spaccare una finestra.  Ma qualunque cosa possiate dire, non sarà mai abbastanza.

Non sarete mai in grado di dire e scrivere quello che già  e’ stato chiaramente scritto e detto: che voi non credete che la violenza sia il metodo giusto per cambiare la società.

Fate bene quando, nei talk show, nei programmi di dibattito e in rete insistete a cercare di spiegare perché si incendia piuttosto che limitarvi soltanto a condannare i giovani.  Quelli che condannano e giudicano un fatto senza spiegarne i motivi  condannano e giudicano anche i sentimenti e le esperienze che hanno portato a questi avvenimenti.

Scriviamo anche a te che guardi a questi eventi dal di fuori per chiedere: riesci a capire perche’ una mano lancia una pietra ad una macchina della polizia? Puoi cercare di capire?

Immagina di essere un bambino vittima di bullismo, preso in giro per il tuo accento, per il tuo aspetto esteriore. Non proveresti una sensazione di emarginazione?

Avere insegnati incapaci seduti dietro la loro cattedra solo per guadagnare uno stipendio. Cominci a fumare quando cominci la scuola media per darti importanza. Diventi amico solo di persone che sopravvivono come te.   Vieni formato da cio’ che vedi.

E ‘difficile essere forti se non ci sono dei modelli a cui ispirarsi attorno a te.  Probabilmente non hai un bel rapporto con la tua famiglia. Forse hai perso tua madre o tuo padre durante la guerra in Iraq. Oppure hai perso i tuoi fratelli durante la guerra in Afghanistan o uno di loro e’ rimasto ferito in Palestina.

Nessuno ti ascolta durante la tua adolescenza. Non hai nessuno a cui rivolgerti. Cerchi di crearti una vita, ma non trovi niente di meglio da fare.  Cerchi lavoro, ma Daniel Svensson ottiene sempre il lavoro prima di te, ogni fottuta volta.  Si perde la speranza.  Si cercano altre vie d’uscita.  Alcuni imboccano la strada sbagliata, altri sopravvivono.

Molti dicono che dovresti lottare per te stesso, ma non è così facile. Grisarna hänger över din axel (e’ un espressione idiomatica non molto traducibile, potrebbe tradursi come  sei giudicato a prescindere) ogni giorno.  La speranza di sopravvivere scompare. Droghe attorno a te. La tentazione di fa prudere le mani. Vuoi provare o fare un passo indietro? La pressione del gruppo aumenta, sei spinto a fare cose che non avresti mai fatto da solo.  Senti che non c’e un futuro per te. Te ne stai lì con una pietra in mano.  Te ne stai lì con la tua vita in mano. Che fai la lanci?

Megafonen. Noi pensiamo abbiate ragione a chiamare gli eventi di questa settimana nel vostro quartiere ‘rivolta della periferia’. Noi crediamo che sia giusto sottolineare che non si tratta di rivolte giovanili o di una sommossa apolitica ma di una ribellione, una reazione, come avete scritto nel vostro ultimo comunicato stampa: “disoccupazione, scuole scadenti e razzismo strutturale sono le cause alla base di ciò che sta accadendo oggi. ”

Quando il vostro coraggio vacillera’, ponete questa domanda: se non ci fossi stato tu, cosa sarebbe accaduto questa settimana? Forse un pensionato sarebbe stato colpito a morte in un appartamento di periferia senza che nessuno se ne interessasse. Forse.  Se qualcuno non avesse fotografato  il corpo che veniva portato via nel cuore della notte, malgrado il fatto che la polizia avesse affermato che l’uomo era morto in ospedale alcune ore prima – forse nessuno si sarebbe interessato, e tutto sarebbe continuato come al solito.

Ma è giusto interessarsi quando qualcuno muore. Esigere che la polizia non menta ai media a proposito di un cadavere e’ un diritto.

Avete fatto bene ad organizzare la manifestazione, che ora viene definita la scintilla che ha acceso la rivolta nelle periferie.

Chiedetevi questo: cosa accomuna Hässelby e Fittja –ci sono incendi anche li in queste notti d’estate – uomo che è stato ucciso in un appartamento a Husby? Niente, forse. Che collegamento avete voi di Megafonen con l’uomo morto? Non c’è amicizia, non ci sono legami familiari. Ma vi è un legame umano. Noi ci consoliamo l’un l’altro quando qualcuno muore. Siamo solidali.

Viviamo insieme nella società.

Vi sosteniamo in ogni modo. Sappiamo cosa si prova nella vostra posizione, quando dovete cercare di spiegare piuttosto che condannare.

Ad Hammarkullen a volte in piazza ci sono i cavalli della polizia. A Biskopsgården le telecamere filmano quello che succede nei cortili delle case.  A Frölunda, dicono i rapporti di questa sera, c’e’ aria di agitazione – chiamate e sms che sussurranno che la rivolta potrebbe allargarsi a Göteborg, dove lottiamo con gli stessi problemi che avete voi a Stoccolma: militarizzazione delle periferie, maltrattamenti della polizia, tagli alle strutture sociali.  L’estate sta arrivando, anche quest’ anno. I motorini ronzano tra le case.  Le periferie trabboccano sempre di queste sensazioni. Sapete. La ‘sensazione’. Che nessuno ascolta, nessuno vuole sentire le storie di poliziotti razzisti, dei maltrattamenti, delle aggressioni gratuite (della polizia). Forse c’e’ bisogno di incendiare perche’ qualcuno ascolti certe voci.

Adesso brucia. Ed eccoci qui, insieme. Pantrarna e Megafonen.

Se non ci fossimo noi, chi si sarebbe assunto la responsabilità di cercare di capire le ombre che si muovono sulle nostre strade con le pietre in mano?

Queste ombre sono nate in ospedali svedesi, sono state registrate presso le autorità fiscali svedesi, hanno frequentato scuole svedesi e trascorso i pomeriggi nei fritidsgård  (doposcuola svedesi) e vogliono lavorare in questo paese e pagare le tasse e morire qui. Ma il nostro primo ministro li puo’ ancora una volta trasformare in stranieri quando afferma che le loro azioni sono il risultato dell’esistenza di “differenze (ostacoli) culturali” – come voi di Megafonen sapete, è questa l’unica spiegazione che ha dato della rivolta nelle periferie: che si tratta di giovani arrabbiati che devono superare certe differenze culturali e inserirsi nella società.

Non ci prendiamo neppure la briga di far notare a qualcuno quanto banale e razzista sia questa affermazione.

Le ombre si muovono nel paese.

Per tutti i politici svedesi invece diciamo questo, voi siete stati eletti dal popolo. Il popolo siamo noi tutti, insieme.

La polizia abusa del suo potere e considera noi che non abbimo un’uniforme come spazzatura. È per questo che noi li chiamiamo maiali. Semplice. Siamo stanchi di sentire i politici dire solo cose che non significano nulla. Agire invece di parlare. Fare cose utili alla societa’. Istituire un organo speciale che indaghi sulle azioni della polizia.

Siete  voi che avete il potere in mano, quindi fate  qualcosa per aiutare le persone che vi hanno eletto non solo per stare li seduti a guadagnare milioni.  Gli stipendi di merda che vengono pagati agli insegnati gli fanno perdere la speranza. Si siedono dietro la cattedra e se ne fregano. Causa ed effetto. Se vi ostinate a ridurre ogni questione politica ad una questione di polizia, non ci resta che iniziare ad eleggere i poliziotti invece dei politici.

Ancora una volta una parte della societa’ è morta in quell’appartamento a Husby.

Ecco perché si incendia.

Ma questo gia’ lo sapete.

Infine. Per tutti quelli che sono cresciuti in periferia.

Siete tutti nostri fratelli.  State calmi. I media ovviamente smetteranno di parlare dei nostri quartieri quando tutto si sara’ calmato . Prenderanno armi e bagagli e spariranno per questa volta. Non vogliono sentire le vostre voci che parlano di violenza della polizia, di pessime scuole, di case che hanno bisogno di essere rinnovate, di centri per il tempo libero chiusi, di discriminazione. Vogliono vedere macchine in fiamme, finestre rotte.  Così, quando la rivolta sara’  finita per questa volta, dovrete continuare a riferire sulle vostre vite da soli.

I media parleranno male dei vostri quartieri e scriveranno cose inesatte.

Esigete che le correggano.

C’è una cosa che possiamo imparare. Le nostre voci  contano. Dobbiamo parlare, comunicare anche se nessuno ascolta.

Quelli di SD (Sverige Demokraterna) magari otterranno qualche voto in più alle prossime elezioni, ma non tacete mai. Noi non staremo in silenzio, noi parleremo, insieme.

Se vi cuciono insieme le labbra, scucite i punti con le vostre voci.

Le nostre tasche sono povere, ma i nostri occhi sono ricchi.

Tutto il potere al popolo.

 

 

La rivolta di Husby

Fonte: The Local, http://www.thelocal.se/48078/20130523/

Fonte: The Local, http://www.thelocal.se/48078/20130523/

Articolo aggiornato il 24/5 alle 10:00

troubles in paradise“, dicono ironicamente gli inglesi.

Nella notte di sabato scorso sono scoppiati disordini nel quartiere di Husby, vicino a dove abito io, e nei giorni successivi si sono estesi ad altre aree della città.

Con il perdurare dei fatti, la notizia ha cominciato a diffondersi fino ad arrivare a giornali e telegiornali italiani, molte persone mi hanno chiesto se stessi bene, se fossi a rischio e che cosa stesse realmente succedendo in città. La cosa è molto più semplice di quanto sembri, ed allo stesso tempo molto più complicata. Ma forse è meglio cominciare dalla storia e dall’attuale stato delle cose.

La settimana scorsa la polizia è stata chiamata perchè un signore di 69 anni, di nazionalità ancora non dichiarata sui giornali, aveva cominciato a dare di matto in un’appartamento, brandendo un grosso coltello. I poliziotti giunti sul posto sono stati insultati e minacciati di morte dal tizio, dal balcone del suo appartamento, ma la situazione sembrava grossomodo sotto controllo, fino a che non si è saputo che in casa c’era anche una donna. Per recuperarla è stata fatta irruzione nella casa, è stata usata una granata flash-bang per stordire il tizio, ma non è bastato e pare che abbia attaccato i poliziotti, che gli hanno sparato ferendolo gravemente. La donna è stata portata in salvo, il tizio è morto poco dopo in ospedale.

Questa reazione è stata giudicata violenta, spiega un insolitamente ben equilibrato articolo di Repubblica, dagli abitanti del quartiere, che avrebbero iniziato a protestare e generato così una rivolta.

Aggiornamento 24/5: L’uomo era  di nazionalità Finlandese. Le reazioni all’operato della polizia pare siano scaurite dallo spiegamento di forze e dalla dichiarazione che l’uomo fosse morto in ospedale quando invece è stato portato via e fotografato già morto sul luogo dello scontro. Ora la mia opinione è che possa essere una questione di legittimi punti di vista: probabilmente l’uomo è stato dichiarato morto in ospedale. Ma una popolazione che vive sotto la pressione della Polizia può vedere tutto come un atto di forza e un tentativo di copertura. Molto interessante un’articolo postato da una mia amica, che merita una traduzione migliore di quanto possa fare Google Translate: http://www.aftonbladet.se/kultur/article16832905.ab

E qui la realtà comincia a divergere da quella che potrebbe essere l’impressione che ci si può fare dai giornali. Non si tratterrebbe di un’insurrezione popolare, ma dell’impeto vandalistico e di protesta di qualche decina di giovani, principalmente intorno ai 18 anni. Questi giovani di danni ne hanno fatti eccome, dando fuoco a un centinaio di auto (!) e spaccando vetrine, nonchè appiccando fuoco anche a stazioni di polizia, e tirando sassi a pompieri e ambulanze accorse sul luogo.

L’ondata di disordine si è allargata in breve tempo ad altri quartieri, atti vandalici molto seri si sono susseguiti anche nelle notti successive ai confinanti Rinkeby, Hjulsta, Tensta, Kista, e poi anche in altre zone della città, Skarkpnäck, Jakobsberg, Älvjö, una quindicina in tutto. I fuochi che hanno richiesto l’intervento dei pompieri sono circa un’ottantina in tutto.

Fonte: The Local http://www.thelocal.se/48096/20130523/

Fonte: The Local http://www.thelocal.se/48096/20130523/

Non riesco bene a spiegare come vorrei: la gente è allarmata e i danni sono ingenti, ma non si tratta di una guerra quartiere per quartiere o di una intifada di interi quartieri in rivolta, ma di una specie di “euforia da vandalismo” che si è diffusa fra i ragazzi dei quartieri a più alto tasso d’immigrazione. Non si rischia la vita, non ci sono bande armate che si scontrano per le vie, la notte non è illuminata dal rosso dei roghi, non c’è un coro costante di sirene, e non ci sono file di celerini in tenuta antisommossa a sbarrare le strade. D’altro canto persone e comunità hanno subito danni, c’è stata una manciata di arresti, e certamente la gente si sente attaccata nella sua tranquillità quotidiana. I primi ad esprimere disagio sono proprio gli abitanti dei quartieri, perché non condividono questi gesti di (relativamente) pochi, e non sono certo felici del riflesso che queste azioni può avere sulla loro immagine e condizione di immigrati. Contro manifestazioni pacifiche di dissociazione si sono tenute alla luce del giorno.

Per dire, già anche io mi sento a disagio, sebbene non viva in nessuna a zona a rischio e possa definirmi decisamente un “immigrato di lusso”. E ha fatto un certo effetto sentire nella stazione della metropolitana che gli autobus notturni per Tensta, Husby e Rinkeby sono stati sospesi per “disordini”.

Startsida – AB Storstockholms Lokaltrafik

Insomma non voglio nè minimizzare ne ingigantire, ma vorrei dare una reale dimensione di quello che sta succedendo.

Il problema è molto più complesso di quello che possa sembrare. In questi quartieri, è vero, il tasso di immigrazione arriva all’80%. Ed è anche vero che non sono considerati “bei quartieri” dagli stoccolmesi, i prezzi sono più bassi e l’edilizia è molto funzionale. Ma, e chi li ha visti se ne è reso conto facilmente (cavolo, basta anche usare Google Street View), non si tratta di ghetti invivibili, con case in rovine e sovraaffollate, e rifiuti per le strade. Sono quartieri con il loro centro civico, la biblioteca, il verde, i servizi. La scuola di Rinkeby è anche stata indicata come modello in una vecchia puntata televisiva di una trasmissione italiana. E non mi è mai capitato di sentirmi a disagio paseggiandovi sia di giorno che di notte.

Aggiornamento 24/5 ore 10:00: mi riportano che il quartiere di Tensta è uno dei peggiori in assoluto, con condizioni… diciamo meno che idilliache. E le notizie girano, sono riportati eventi in varie parti della città e non sempre la gente che ci abita ha notato qualcosa. D’altro canto, piccole cose qua e la sono vandalizzate, e fa impressione perchè fanno parte della quotidianità, come un baretto sul lago a Södermalm. Le macchine e le pareti bruciate certo fanno impressione.

Ma allora il problema qual’è? Io ho una vaga idea, e posso provare a comunicarvela: è il modello di integrazione Svedese che ha qualche cosa che non va, anche se non ho esattamente idea di cosa. Lo stato sociale ha puntato davvero tanto sull’integrazione, attirandosi anche le antipatie della popolazione più nazionalista e populista (un po i nostri leghisti, per fare un paragone). Sussidi, assistenza sociale, risorse devolute a scuole e formazione, corsi di linga gratuiti, sono tutte azioni che lo Stato ha intrapreso per costruire una “rete di solidarietà” attorno agli immigrati. E queste cose portano il loro frutto, i livelli normali di criminalità (ordinaria) sono bassi, la scolarizzazione è alta.

Ma credo che queste cose da sole non siano sufficienti, come per esempio non è sufficiente per un genitore sempre fuori casa per lavoro comperare giocattoli, cibo e vestiti per un figlio che non vedono quasi mai.

Più volte parlando dell’argomento io ho ribadito che, sebbene sia estremamente facile convivere, è molto difficile integrarsi, “fondersi” con la società. Io probabilmente non lo potrò mai fare, forse servirà almeno una generazione in più. Uso spesso la metafora di goccioline d’olio sospese nell’acqua, possono essere ben mescolate ma non saranno mai un tutt’uno.

Io stesso non so bene se per necessità, per inevitablità o per pigrizia, ho tessuto la mia rete sociale principalmente con italiani che vivono qua, perchè è più facile condividere idee, gusti, modi di concepire il mondo che ci circonda. E comunque la mia “rete” italiana è fatta di persone che lavorano nel terziario, o nella ricerca, o in istituti sovranazionali, di cultura alta.

Non è difficile immaginare cosa voglia dire essere un ragazzo sedicenne del Sudan o della Somalia. Avere cibo, e istruzione e una casa dignitosa, ma trovarsi in un certo senso isolato in una terra di nessuno, essere nato e cresciuto Svedese in una comunità che per storia, convenienza, aggregazione si trova in una parte remota della città, e che più si stringe alla propria comunità per sentirsi accettato e riconosciuto più si stacca dalla… svedesità. Trovare lavoro è più difficile, cresce la frustrazione.

La noia, una buona fetta della stupiditàdi chiunque guardi il mondo con gli occhi di un diciottenne (diciottenni non me ne vogliate, lo sono stato anche io, sia diciottenne sia stupido), questo senso di “buonismo” della società che non ti punisce mai veramente, che provvede ai tuoi bisogni ma non ti fa sentire accettato, quel misto di euforicità e di noia dei gruppi di coetanei, tutte queste cose possono spingere a gesta gravi, inutili e controproducenti come quelle di questi giorni.

Pompieri e Polizia sono visti ed attaccati come simboli dello stato, e più vengono attaccati più frange dell’altra estremità sociale hanno buon gioco ad indicare queste persone come pericolose e dannose, e supportano teorie razziste. Poliziotti (alcuni) che considerano feccia queste persone, e le insultano con epiteti razzisti, dal loro punto di vista ben meritati.

Come se ne esce? Cosa cambiare? Onestamente non lo so. Leggo alcune cose sui giornali, il ministro per l’integrazione ha ribadito che non é una lotta dei giovani contro la Nazione, in un’intervista molto ferma ma anche molto pacata. Un pompiere di una caserma vandalizzata che ribadisce che continuerà a lavorare a a cercare di aiutare chiunque ne abbia bisogno e diventa Svedese della settimana, un ex poliziotto razzista che, ravveduto, si dedica ad identificare e riportare gli abusi della polizia, sono tutte cose che mi sembrano passi nella giusta direzione,  anche se non risolutivi. Forse un’atteggiamento diverso della stampa.

In generale, mi pare che si cerchi di parlare di come risolvere il problema, di cosa poter fare di più e meglio, e non di cercare di “fare notizia” e di buttare benzina sul fuoco, o risolvere il problema alla radice ignorando che l’immigrazione è inevitabile e fino necessaria. Queste sono cose a mio avviso giuste, anche se non so quanto efficaci. Certo ci vorranno anni, anni, probabilmente generazioni, e penso a tutti i nuovi Svedesi che sono nati con una parte italiana, giapponese, thailandese, americana. Spero che la soluzione sia quella.

Su Facebook si è articolata una discussioncina piuttosto interessante, vi consiglio di leggere anche i commenti qui sotto.