ettårsdagen: è passato un anno

ettarsdagenE’ passato un anno.

Esattamente un anno fa, grossomodo a quest’ora, atterravo nell’insignificante aeroportino di Skavsta, con il primo biglietto aereo di sola andata che avessi mai acquistato, del costo di 0,01 Euro (tasse escluse).

Tutta la mia roba, tutta la mia vita, impacchettata in un famoso metro cubo, e poche, pochissime certezze su ciò che sarebbe stato della mia vita. Sapevo solo che tutto sarebbe stato nuovo, tutto sarebbe stato vergine, da costruire, che nulla poteva essere dato per scontato. Mi ero anche ripromesso di non fare bilanci, di non esprimere giudizi prima di un anno, quando avessi avuto modo di valutare le cose fino in fondo.

Ebbene, un anno mi è servito solo a rendermi conto che… ci vuole molto più di un anno per fare bilanci. Guardandomi alle spalle non posso certo dire di essere lo stesso di uno o due anni fa, quello che cercava una soluzione a qualcosa che non era neppure certo che fosse un problema. Certo tutti cambiamo, tutti abbiamo i nostri momenti chiave che fanno prendere alla vita direzioni diverse. Ma quello che più ha inciso sul mio modo di essere è il cambio di prospettiva, l’allargamento dell’orizzonte, l’attraversamento della linea d’ombra.

Molte cose sono successe durante quest’anno: ho trovato nuovi amici che condividono parte delle mie esperienze,  ne ho persi altri a causa della distanza o più spesso per causa mia, altri non influenzati dallo spazio-tempo rimangono a orbitare nel mio universo. Ho preso più aerei di quanti non ne abbia presi nel resto della mia vita, ho guidato pochissimo l’automobile ma in compenso ho provato nuovi mezzi di locomozione su acqua, neve, ghiaccio, ho conosciuto la cucina sarda e il sushi, ho imparato a capire persone che parlano una lingua astrusa e so mettere la “å” nel posto giusto dell’alfabeto, ho toccato i miei estremi di temperatura e latitudine, ho traslocato tre volte rendendomi conto che sempre di più di ciò che possiedo è superfluo, ho praticamente rinunciato alla televisione, ho votato in un paese che non è il mio, ho girato scalzo per casa di persone che conoscevo a malapena.

Ma non è quello che ho fatto. E’ la consapevolezza di quello che ancora potrò fare. Strade nuove, aperte, conoscenze, imprevisti, salite e discese. Mentre parlavo inglese con una norvegese a tavola di uno svedese mangiando manzo Uruguayano con salsa bernese, mi è stato detto: “solo quando avrai perso completamente te stesso potrai sapere chi sei veramente”. Filosofo, naturalista, maestro d’arme e rime, musicista, viaggiatore ascensionista, istrione ma non ebbe claque, amante anche, senza conquista. L’unica cosa su cui contare, il mio pennacchio.

Non so dove sarò fra un anno, CHI sarò fra un anno, cosa sarà successo. Ma il “Capitano mio Capitano” è tornato alla barra, dritta avanti tutta, questa è la rotta, questa è la direzione.

Capitano