La scopa del sistema


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lascopadelsistemaPer la prima volta mi trovo fra le mani un libro che mi è piaciuto, ma che non consiglierei a nessuno.
“La scopa del sistema” è la prima opera che io abbia letto di David Foster Wallace, e francamente non mi sarei aspettato nulla del genere.
L’ambientazione è una surreale America di provincia, descritta con ironia, intelligenza e spietato cinismo, ogni personaggio è spinto all’estremo nella sua caratterizzazione, a volte appaiono e scompaiono senza motivo, le loro vite sono tutte intrecciate, sebbene questo poco abbia a che fare con il racconto.
La trama è piuttosto semplice, si tratta della ricerca da parte della protagonista di sua nonna, misteriosamente scomparsa dalla casa di riposo.
Ma la trama è veramente solo un pretesto, una parvenza di struttura, per un romanzo che è puro esercizio di stile, sovrapposizione di racconti e di meta-racconti (racconti a proposito di racconti), divagazioni sulla psicologia dei personaggi (con tanto di psicologo), voli pindarico-filosofici, e piccoli dettagli che si nascondono nella scelta di singole parole. Ho sottolineato a matita praticamente buona parte del libro. La linea del tempo è spezzettata fra il presente ed il passato, lo stile di scrittura è principalmente il racconto, ma si incontrano stralci di verbale, lettere, disegni a matita sul retro di etichette di omogeneizzati.
Mai come in questo caso il viaggio è più importante della destinazione. Solo leggendo con questa considerazione in mente è possibile gustare questo romanzo del tutto sgangherato e sconquassato, ma scritto in un modo assurdamente geniale.

Perché non lo consiglierei a nessuno? Perché è talmente assurdo che me lo sono goduto moltissimo, e se lo consigliassi a qualcuno costui potrebbe farsi legittimi dubbi sul mio stato di salute mentale, vedi ad esempio il mio post “Il Violinista“. E non sono sicuro di voler sapere se qualcuno dei miei amici sia pazzo come me (anche se ne ho avuto già prove, vero P? 🙂 ).

Insomma, come diceva Groucho Marx, “non entrerei mai a fare parte di un club che accettasse persone come me fra i suoi soci” 🙂

Il violinista

Ho appena visto questa cosa strana, questa cosa cioè che non credo si potrebbe descrivere con una fotografia, ma nemmeno con un filmato, una di quelle cose che esistono silo per una frazione di secondo e poi svaniscono, anzi non svaniscono mai più proprio perchè le hai viste e le puoi ricordare, e ti chiedi se non le avessi viste se sarebbero esistite lo stesso, o se da qualche parte qualcuno che non è una persona le avrebbe annotate, magari organizzate, e poi avrebbe segnato una V di spunta su una lista inimmaginabile, e poi sarebbe passato ad altro.
Ero lì insomma sul mio autobus, e tutto in testa sciabordava, di orari, personaggi di libri, programmi e titoli di giornali dimenticati da chi sedeva prima al posto mio, quando alzo lo sguardo e vedo fuori dal finestrino un tizio che suona il vilolino, in un pastrano grigio e dall’aria dimessa. Io so che sta suonando il violino, perché non mi arriva nessuna musica, ma vedo gli occhi socchiusi nella testa reclinata a concentrarsi sulla musiva e a controllare il piattino delle offerte, e vedo il mignolo tremolare sulle corde e l’archetto muoversi lentamente, su, su su e poi lentamente giù giù giù, e so che la musica è fatta di onde, ma ora ho capito davvero cosa vuol dire.
E mentre l’archetto sale sento il niii di una sirena della polizia, e quando scende sento il nooo, e niii,nooo,niii, nooo e sembra che la suoni lui quella sirena, e si sovrappongono le cose, tutto si cristallizza in un istante perfetto in cui le cose acquistano un nuovo significato, e pensi che sembrerebbe che stiano arrivando per lui, ma in realtà la polizia e questo mendicante illegale siano la stessa cosa, due facce della medaglia che condividono la stessa ragione di esistere, e che in questo preciso momento, in un universo con solo me al centro e ordinata tranquilltà intorno, turbano più sirene che suoni di violino.
Poi sbatto le palpebre, l’allineamento esistenziale si perde, l’autobus riparte che è scattato il verde.

Devo smetterla di leggere David Foster Wallace.

Vieni a zappare a Skarpnäck

Per la serie dei post a reti unificate, segnalo l’articolo che ha scritto Davide sulla nostra esperienza agreste in un quartiere del sud di Stoccolma (benevolentemente chiamato “Africa”): come se l’avessi scritto io 🙂

http://siamoastoccolma.blogspot.com/2009/05/vieni-zappare-skarpnack.html

Impressioni di maggio

Nulla di sostanziale, una serie di impressioni di un venerdì qualsiasi.
E’ maggio, il sole splende fuori e i colleghi verso le quattro, quattro e mezza all’improvviso spariscono. In silenzio e solitudine, da quel momento inizia il periodo migliore per me per lavorare.
In metropolitana un gruppo di ragazzine dodicenni irrompe, fa chiasso, ride e scherza, e sparisce in un sobborgo urbano, come un temporale estivo.
Uno dei quartieri-bronx di Stoccolma è illuminato dal sole basso del pomeriggio (sono le otto), gli alberi sono di un verde brillantissimo, tagliando attraverso il parco tutto, alberi, siepi e prati, è coperto da fiorellini bianchi, un profumo dolcissimo nell’aria.
Sulla veranda di una delle case-famiglia ci si trova fra amici, senza un motivo particolare. Patatine, guacamole, un’altra salsa di cui non ricordo il nome e un bicchiere di vino, alcuni su una panchina, altri su un tappeto e cuscini. Sulle spalle una coperta, il sole c’è ancora ma l’ombra non perdona.
A cena agape, ciascuno porta del suo, possibilmente fatto in casa: pane, pizza di ispirazione campana, pani cu tamàttiga di ispirazione sarda, salumi di Norcia, insalata, torta di ricotta e cioccolato, sangiovese, mirto e caffè di moka su piastra in vetroceramica. Chiacchiere ricordi da mettere in comune come con il cibo, ricordi quasi nuovi, picogossip.
Il taxi per tornare a casa perché nessuno ha voglia di aspettare la metro, con le luci del centro riflesse sul Mälaren da un a prospettiva inusuale per i pedoni.
Sul 515 incontro per l’ennesima volta, in orari ed in giorni diversi, la mia amica Pamela in rotta per la via di casa, si scambiano scampoli di serata e commenti su articoli di Repubblica, scaricati da internet e stampati per essere riletti con più calma.
La notte ti fa capire che non è ancora il caso di lasciare a casa la giacca, sarà pure estate ma si scende comunque sotto i 10 gradi. Il cielo blu zaffiro è cinto all’orizzonte da una fascia luminosa verde, che ti fa sentire come un veterano delle nottate di ritorno all’alba, sebbene potrebbe essere benissimo ancora il tramonto.
In casa la luce sul davanzale è già spenta, e ti accorgi che le orchidee in vaso non solo stanno sbocciando, ma hanno anche un loro profumo deciso.
E domani un fine settimana ancora intonso.