La scuola

La scuolaDopo aver visto il servizio televisivo “la scuola tagliata“, e in ritardo di circa 14 anni, mi sono deciso a guardare “La scuola”, un film del 1995 con Silvio Orlando, tratto da dei romanzi di Domenico Starnone. Il film è piacevolissimo, arguto, ironico, a tratti commovente. E’ ricco di dettagli e di finezze, ma è allo stesso tempo semplice, schietto, diretto.

Io ho smesso di frequentare l’ambiente scolastico più o meno dalla mia maturità, ma non ho visto moltissime differenze rispetto alle mie esperienze, così come a prima vista pare non ce ne siano con la scuola descritta nel servizio di Rai tre. Ma per parlarne come si deve magari servirebbe Leonardo (che non potevo evitare di sovrapporre alla figura del professor Vivaldi 🙂 ), o Elena, Roberto, Francesca, qualcuno dei miei amici insegnanti.

Tutto il divertimento ed i buoni sentimenti percepiti nel film hanno un retrogusto, aspro, amaro. C’è un pesante senso di sconfitta, di rinuncia, di fatalismo, persino di paura. “C’è chi è nato per zappare, e chi è nato per studiare”, si ribadisce più volte. E sembra di capire che non ci sia grande differenza fra gli studenti e gli insegnanti, come suggerisce il fotogramma che ho inserito qui  a lato.

childsoontherockMentre sorridevo e rivedevo i mille particolari che suscitavano echi e sorrisi nella mia memoria, immaginavo di spiegare questo film a qualche mio amico svedese, e mi sono reso contoche non ci sarebbe modo di farlo, che il presente narrato apparirebbe alieno, grottesco, inconcepibile. E non credo che sia migliorato negli ultimi 14 anni. E’ vero, non è tutto oro quello che luccica, si generalizza, lo sport preferito di noi Italiani è la lamentela (dico, con tono lamentoso e generalista). Però, porca miseria.
Guardo i bimbetti inquadrati e in fila con i giubbettini fluorescenti, i ragazzi un po “narcotizzati” che vanno a scuola e incontro in metropolitana, le mille contraddizioni del “lagom“, della provocatoria legge di Jante e della dubbelmoral , e mi chiedo: nonostante tutto, se davvero fossi costretto a scegliere, in quale dei due ambienti preferirei crescere mio figlio? Ho paura di conoscere già la risposta. Magari ci ripenso quando ce l’avrò, un figlio.