Infomerciami ma non eyeballarmi: Non è così facile

Ho letto un bell’articolo di vanz su “Maestrini per caso”, dal titolo “Infomerciami ma non eyeballarmi“. Banalizzando molto, il concetto del post è una domanda: perchè, visto che la tecnologia oggi lo permette, oggi non si fa un marketing “mirato” alle esigenze del singolo cliente, ma si fa un “bombardamento a tappeto” con pubblicità generaliste che vengono sempre più spesso filtrate dagli utenti evoluti, e quindi doppiamente inefficaci?

Io sposo in pieno il punto di vista della questione: se, parlando ad esempio di libri, ricevessi una newsletter con libri suggeriti in base ai miei gusti dettagliati, probabilmente farei MOLTI più acquisti d’impulso.

Però….

Il mio lavoro mi ha portato a vedere da vicino la realizzazione di diversi siti di e-commerce, prima in Italia e ora qui in Svezia e Norvegia, e credo di essermi fatto un’idea piuttosto precisa dei motivi che hanno portato a questa situazione. Realizzare quel tipo di marketing “mirato” in realtà ha costi veramente piuttosto alti, che addirittua potrebbero non essere giustificati. Proverò a parlare di quali sono gli ostacoli che si incontrano, tenedo conto che la mia esperienza è limitata a siti di vendita al dettaglio, e non di vendita di advertising come nel caso de “Il Corriere”.

Innanzitutto la dimensione del sito è decisamente importante: piccole aziende non hanno abbastanza risorse da investire nello sviluppo del proprio sito web per fornire contenuto personalizzato. In genere il “sito web” viene visto come una “piccola divisione” di quello che è l’apparato commerciale di un’azienda, e soprattutto in Italia i costi necessari per implementare sul proprio sito sono molto alti rispetto al budget, che viene speso per risolvere problemi di gestione logistica / evasione dell’ordine. Molte volte ci sono a malapena risorse sufficenti a rinnovare l’aspetto grafico del sito, e non sempre sono ben speso sono in grado di essere comprese dal management dell’azienda.

Inoltre, per negozi online modesti, il catalogo non è abbastanza ampio da poter essere classificato e profilato per ciascun cliente: se ci sono in tutto un paio di centinaia di prodotti, i profili alla fine si vengono ad assomigliare molto, o a coincidere con la categorizzazione sul sito.

Quando lavoravo per queste aziende medio-piccole sospiravo, ed agognavo di poter vedere un giorno come lavora un “grosso” sito.

Poi mi è capitato, e le cose non differiscono più di tanto. Lavorando per un cliente nell’eletronica di consumo con qualcosa come cinquantamila prodotti a catalogo, ho visto che una profilazione dettagliata sarebbe ugualmente impossibile: innanzitutto il turnover dei prodotti è talmente veloce che gli sforzi del personale sono appena sufficenti a inserire le giuste informazioni di marketing (testo, immagini), categorizzare i prodotti nel sito e ad assegnargli (ed aggiornare quotidianamente) i giusti prezzi. La conoscenza dei prodotti è inoltre sempre più diluita, e c’è meno “tempo per prodotto” da spendere per assegnargli un profilo di marketing. Le informazioni provenienti dai produttori sono il più delle volte scarsissime o inesistenti, oppure fornite con formati e mezzi di trasporto disomogenei (pletore di files, feed, excel, FAX!, ogni fornitore ha il suo sistema). Già il cross-selling o la proposta di  accessori sono funzioni riservate a siti di e-commerce “ad alto budget”.

Ma quanti clienti DAVVERO sono così evoluti da fornire informazioni (consapevoli o meno) strutturate sul loro profilo marketing? Un esempio: sull’ultimo “grande” sito su cui ho consultato le statistiche la funzione “confronta”, che potrebbe fornire istruzioni molto importante sul modo in cui i clienti selezionano e valutano i prodotti, rappresenta solo lo 0,2% delle pagine visitate.

Ma immaginiamo che in qualche modo i prodotti siano schedati e classificati con tutte le informazioni necessarie. Serve “l’altra metà della mela”, ovvero la profilazione del cliente. E anche qui non è tutto rose e fiori.

La percentuale di visitatori di un sito che sottoscrive a una newsletter è decisamente ridotta, e per forza di cose l’iscrizione non può richiedere un questionario dettagliato, pena un ulteriore calo di questa quota. Oltre ai questionari, una preziosissima fonte di informazione sono gli ordini dei clienti: analizzando le statistiche che mi è capitato di vederre per vari siti, e che non fossero Amazon o l’Apple Store, ho sempre visto che anche questi dati non sono particolarmente voluminosi. Io, ad esempio, compro sempre i libri su BOL, e ho fatto in media 7/8 ordini all’anno, e già mi considero un cliente assiduo e fedele. Questi 7/8 ordini sono una parte piccolissima delle proposte commerciali che mi vengono fatte. E ancora peggio se si considera che molti fanno acquisiti su siti diversi, o molto meno spesso. In media, quindi, le informazioni che i clienti mettono a diposizione per essere  profilati non è gran che.

La maggior parte dei clienti (circa il 95%, a occhio e croce) naviga in modo “anonimo” prima di effettuare un ordine ed autenticarsi solo alla fine. Questo rendo molto più difficile raccogliere profili “personali”, come “chi ha visitato questo e quello ha poi comperato quello”, soprattutto fra sessioni diverse.

Si potrebbero raccogliere informazioni da terze parti, ad esempio “social network”: se penso a quello che un commesso librario potrebbe offrirmi dopo essersi studiato il mio account di Anobii, mi viene la pelle d’oca: potrebbe darmi titoli di libri che io non potrei rifiutarmi di acquistare. Eppure, i sistemi pongono problemi di integrazione: quanti utenti “significativamente acquistanti” di BOL ad esempio hanno un’account su Anobii? Pagare uno sviluppatore per scrivere un’integrazione BOL-Anobii, quale rapporto costi/benefici porterebbe? E in questo caso si parla di settori decisamente omogenei (libri-libri, identificati da un codice univoco ISBN) . Non oso immagiare cosa potrebbe costare raccogliere, per esempio, informazioni su possibili interessi nell’ambito dell’elettronica di consumo da feed con contenuti disomogenei come Facebook o FriendFeed, considerando poi che molte volte non c’è modo per identificare i prodotti: quasi mai si riportano i codici articolo, e le descirzioni sono ESTREMAMENTE error-prone. Impossibile raccogliere questi dati automaticamente.

Ma immaginiamo che sia economico anche raccogliere profili dettagliati della maggior parte dei clienti. Il passo successivo è formulare le proposte, ovvero decidere quale prodotto va bene per chi. Lavorare con informazioni “grezze” provenienti dai produttori è improponibile, ci vuole personale dedicato che conosca per bene i prodotti e che imposti e mantenga le “tabelle” di corrispondenza dei profili cliente e prodotto. Anche ammettendo che sia possibile un confronto automatico, quasto andrebbe continuamente tarato e monitorato,  ed aggiornato in base alle nuove tendenze e andamenti di mercato, per non parlare di andamenti economici (per esempio, spingere un prodotto per cui si è riusciti a negoziare un margine più alto del normale). Questi personale COSTA, non solo per manodopera, ma per formazione ed aggiornamento. E’ un problema annoso anche per i negozi “fisici”, nei quali è sempre più difficile trovare un commesso competente che possa aiutare i clienti nella scelta dei prodotti. E le risorse in genere sono impegante ad affrontare altri problemi, come il postvendita, o la gestione degli stock.

Il panorama non è roseo, anche se ci sono delle possibilità: ci sono software che calcolano automaticamente i prodotti da suggerire in base ad “esperienza storica” (chi ha comperato questo ha comperato anche quello), ma non sono adatti ad operare con i nuovi prodotti (che sono almeno la metà del mercato quotidiano, in genere). Sarebbe possibile spingere al massimo la profilazione e la generazione automatica delle proposte di marketing, ma questo comporta costi di sviluppo molto alti, che non sempre si giustificano in termini di vendita.

Ingegnerizzare questi processi software per abbassarne il costo poi non è assolutamente banale, visto che ciascun mercato e ciascun player ha regole proprie, oltre ovviamente a un sistema informatico (piattaforma di e-commerce, backend) diverso da chiunque altro. Molto difficile quindi “rispendere” lo sviluppo per clienti diversi.

Questi problemi rendono molto difficile implementare e gestire funzionalità molto più semplici, come ad esempio il “rating” di un prodotto da parte degli utenti: oltre a un software che lo gestisca (questo si abbastanza banale), servono risorse per moderare i giudizi espressi, e quasi mai vengono viste come “giustificate” da un possibile aumento delle vendite.

Che fare quindi? La logica rimane quella della vendita al dettaglio “ad ampio spettro”: sparare nel mucchio, sperando di colpire il più alto numero possibilie di piccioni con la stessa fava. I risultati non sono soddisfacenti? Si “amplia” il mucchio, si “spara” più volte, o si cerca di “calibrare” meglio le fave 🙂

Queste cose possono essere fatte con relativamente poche risorse, e anche con maggior controllo sui prodotti da “spingere”. E anche così è già grasso che cola, di grazia che queste risorse siano trovate in qualche modo! Da qui la bassa qualità delle newsletter e gli strafalcioni come “guardi lo spazio di membro“, magari nate in un’azienda di servizi decentralizzata in Latveria.

Non sto dicendo che sia l’unica strada percorribile, ma sicuramente è il percorso di minor resistenza, anche se è un ragionamento bacato, come quello di presumere un mercato ed un parco clienti in continua e costante crescita.

Quando questo “volano” non tirerà più (e forse cominciamo ad arrivarci), si dovrà per forza di cose ricorrere ad altri sistemi per aumentare la “redditività” di ciascun singolo cliente, magari implementando funzioni come quelle richieste. Fino ad allora, però rassegnamoci ad offerte generaliste. Anche perchè (ultima considerazione) a parità di costo fanno più comodo 10 vendite di utenti “pecoroni” sull’ultimo prodotto mainstream pubblicizzato, che 1 vendita di utente di “coda lunga”.

Insomma, fra il dire e il fare….