Norvegia

Le vacanze di Natale sono state molto lunghe, e fra un post delirante su una biblioteca totipotente e uno spot di ragazze danesi in bikini, mi sono accorto che è praticamente da Novembre che non do notizie sulla mia vita quassù al nord.
Proprio mentre stavo facendo queste considerazioni, e stavo saltellando da una città dell’Italia a un’altra, prima del rientro, ho ricevuto alcune telefonate e mail di lavoro.

wipcore_smallbrighstep_small Innanzitutto dal primo di gennaio abbiamo cambiato nome, ora non lavoro più per la Wipcore ma per la Brighstep.

Si tratta di un redesign di facciata, grossomodo la struttura è la stessa. E’ incredibile come nella mia vita abbia lavorato per 8 o 9 aziende, cambiando di fatto scrivania solo tre volte 🙂

L’altra novità ben più sostanziale è stata l’acquisizione di un cliente in Norvegia, e che quindi il mio primo giorno di lavoro del 2009 non si sarebbe svolto in ufficio qui a Stoccolma, ma ad Oslo!

Sono arrivato Domenica sera dopo una giornata intera di viaggio, in tempo per ribaltare la valigia sul divano, rifarla, e spolverare il completo. Chi mi conosce sa che io l’ho sempre chiamato “il costume”, ovvero il costume che ti qualifica come persona seria, come la tutina di spandex identifica i supereroi (o gli Abba). Ironicamente quel tipo di vestito in svedese si chiama “kostym [kåst’y:m]“.

Alle tenebrose 5.30 del mattino, scavalcando gli scatoloni dell’IKEA tuttora stazionanti nel mio salotto dopo l’ultima sessione di assemblaggio, sono uscito per tornare all’aeroporto Arlanda.

Il volo “Norwegian Airlines” è piuttosto affollato, la maggior parte delle persone, uomini e donne,  sono in costume come me. Al “bing” dello spegnersi della spia delle cinture di sicurezza è tutto un florilegio di notebook, subnotebook e palmari, e affiora in me il ricordo febbrile di chi approfittava del viaggio in corriera per finire i compiti prima di arrivare a scuola.

All’atterraggio a Oslo è seguito un treno superveloce ed infine un Taxi, per arrivare a destinazione. Non mi dilungo sui dettagli lavorativi, se non per far notare che in Norvegia la pausa pranzo praticamente non costuma: un’amica mi aveva avvisato prima della partenza, ma in effetti, nonstante in azienda sia presente una mensa interna, la pausa pranzo SE viene fatta è di pochissimi minuti. In compenso però, alle quattro in punto la reception dell’azienda ha chiuso, e molte luci hanno cominciato a spegnersi.
Alle cinque, quando siamo entrati in albergo, la receptionist ci ha comunicato che potevamo già accomodarci al ristorante.

Prima e dopo la cena c’è stato altro lavoro da fare: sprovvisto come sono di portatile e valigetta, sono stato costretto a comprare un blocco note in aeroporto e prendere appunti a penna e sul retro di alcuni fogli stampati per tutti e due i giorni. L’ho definito (suscitando consensi, peraltro) il netbook wireless più leggero e con la più alta autonomia che mi sia capitato di usare 🙂

Tornerò (spero meglio attrezzato) la prossima settimana, e altre volte nelle settimane a venire. Spero, essendo solo ed essendoci un pochino più di calma, di contribuire con delle fotografie.

Discorsi lavorativi a parte, la Norvegia mi ha fatto uno strano effetto, e non solo perchè nelle barzellette svedesi i norvegesi svolgono la stessa funzione dei nostri carabinieri (“Sai come si fa ad affondare un sottomarino norvegese? Si manda un subacqueo a bussare allo sportello”).

Oslo è una città costruita su un fiordo, il paesaggio è principalmente costituito da colline rocciose ricoperte di abeti e betulle. Il sole basso all’orizzonte anche a mezzogiorno illumina casettine di legno colorate e moderni edifici di vetro e acciaio, bancarelle vendono wurstel caldi, i prezzi sono espressi in corone (“199:-“), le parole sono riconoscibili e le conversazioni comprensibili, le facce sono quelle di qualsiasi via di Stoccolma, persino lo stile del cibo è familiare.

Tutto è estremamente simile alla Svezia, ma leggermente, impercettibilmente, inquietantemente diverso, sembra di essere in un episodio di “ai confini della realtà”.  Non solo l’onnipresente bandiera è graficamente simile ma anche diversa (a proposito, ecco (in inglese) un piccolo riepilogo di forme e storia delle 7 bandiere scandinave. Sì, sì, sono sette), ma le parole, le pronunce sono appena appena differenti: toni diversi (gli svedesi dicono che i norvegesi sembrano sempre allegri), qualche “å” in meno, lettere “ø” al posto delle “ö”, rarissime “æ” al posto delle “ä”, e ogni tanto qualcosa di completamente diverso (“pølse” al posto di “korv”). Le insegne, i marchi, i colori, sono innegabilmente dello stesso stampo di quelle di Stoccolma, ma vagamente aliene, non riconoscibili.

Ho passato due giorni con l’assurda sensazione che tutti, televisione sottotitolata inclusa, si fossero messi d’accordo nel parlare in modo strano per rendermi più difficile la comprensione dello svedese 🙂