uno per tutto, tutto per uno

Così, in un’afosa notte di giugno, in un capannone che non sfigurerebbe nel porto di Marsiglia, nel cono di luce di una lampada che ronza in contrappunto con le zanzare, la cassa è chiusa. In un metro cubo, quel famoso metro cubo di cui parlo con chi ha la pazienza di parlare con me di questi tempi, ci sta tutto quello che mi porterò di là.

Faccio fatica a spiegarlo, ma c’è un certo simbolismo, una metafora, in quel “metro”. Intanto è una quantità finita. Vuol dire che c’è un limite a quello che puoi portarti dietro, e questo significa dover fare delle scelte.

Lo aveva anticipato il mio amico Mirco, ho continuato a pensarci fino a ieri. Non dovendo fare un trasloco vero e proprio, ovvero non dovendo spostare tutto quello che possiedo, posso scegliere cosa lasciare, e cosa no. In una cassa cubica, così metraforicamente simile al dado tratto.

Impossibile distinguere fra la maglietta lisa da lasciare in un cassetto, e la persona che ero quando la portavo. Così lasciare degli oggetti significa lasciare parte di me. E non è proprio questo, ciò che volevo sin dall’inizio?

E ciò che porto con me “nella cassa”, è davvero ciò che voglio salvare di me, è rivedere, ribadire, cosa per me sia importante, e cosa no.

Fino a qualche giorno fa continuavo a rimandare la scelta, con la scusa di motivi “logistici”.

Perchè scegliere, impacchettare, significa fare un’azione concreta, il primo passo fisico verso la mia partenza. Perfino le dimissioni, la firma del contratto, le chiacchiere, l’anticipo dell’affitto o l’acquisto del biglietto aereo (per la cronoca: Ryanair, sola andata, zero euro più tasse), sono atti “virtuali”.

Ora si inizia davvero a fare sul serio. Poi ci sarà la consegna della macchina, il viaggio, i documenti da fare, il corso di Svedese da cominciare…

Ma, paradossalmente, più passa il tempo e più sono sereno: sta finendo il tempo in cui ci si deve preoccupare delle cose, inizia il tempo di FARE.

Ma non finiscono le riflessioni di quell’uno per uno per uno: la cassa è in viaggio (sciopero dei trasportatori a parte), con tutto ciò che teoricamente mi è essenziale. E allo stesso tempo, mi accorgo che si continua a vivere lo stesso. Voglio dire, certo, è tutta roba comoda e utile, ma se anche la cassa andasse persa, non credo che mi sentirei particolarmente afflitto (beh, oddio, un po scocciato sì). Questo cosa vuol dire? Che ciò che per me è veramente è importante, ciò che voglio portare con me, è ciò che ho dentro di me. Io non sono le cose che possiedo.

Per questo stesso motivo, non sono particolarmente malinconico. E’ vero, alcune cosa cambieranno, sarà più difficile vedere le persone care, gli amici, allo stesso modo, ma si sarà più.. consapevoli.

La chiusura del coperchio di una cassa è troppo simile al voltare di una pagina. Ciò che salvo è al sicuro dentro di me, è letto, è acquisito, per il resto c’è un mare di pagine bianche.

C’è un profondo senso di libertà in questo. E di assunzione di responsabilità nei confronti della propria vita.

Avanti.