Silenzio radio


Warning: count(): Parameter must be an array or an object that implements Countable in /home/customer/www/boffardi.net/public_html/wp-content/plugins/q-and-a/inc/functions.php on line 252

Un po come il Mars Lander Phoneix (e chi mi conosce sa che le parole non sono prese a caso), nelle fasi finali dell’atterraggio su un nuovo pianeta sono costretto ad andare sotto silenzio Radio.

Il mio PC è su un camion da qualche parte in Centro Europa, il notebook rimane in ufficio dove sta giungendo a termine l’ultimo giorno di lavoro. Probabilmente riuscirò a scrivere qualcosa su Twitter, ma quasi sicuramente non risucirò a leggere posta per qualche giorno, forse una settimana, almeno.

Il cellulare di lavoro è definitivamente spento, ed il mio privato con numero italiano seguirà la stessa sorte nel giro di qualche settimana.

Da mercoledì dovrei già essere in caccia di reti wireless aperte nella Capitale Scandinava.

Per cui… grazie degli auguri a tutti quelli che me li hanni fatti, e… ci vediamo di là.

uno per tutto, tutto per uno

Così, in un’afosa notte di giugno, in un capannone che non sfigurerebbe nel porto di Marsiglia, nel cono di luce di una lampada che ronza in contrappunto con le zanzare, la cassa è chiusa. In un metro cubo, quel famoso metro cubo di cui parlo con chi ha la pazienza di parlare con me di questi tempi, ci sta tutto quello che mi porterò di là.

Faccio fatica a spiegarlo, ma c’è un certo simbolismo, una metafora, in quel “metro”. Intanto è una quantità finita. Vuol dire che c’è un limite a quello che puoi portarti dietro, e questo significa dover fare delle scelte.

Lo aveva anticipato il mio amico Mirco, ho continuato a pensarci fino a ieri. Non dovendo fare un trasloco vero e proprio, ovvero non dovendo spostare tutto quello che possiedo, posso scegliere cosa lasciare, e cosa no. In una cassa cubica, così metraforicamente simile al dado tratto.

Impossibile distinguere fra la maglietta lisa da lasciare in un cassetto, e la persona che ero quando la portavo. Così lasciare degli oggetti significa lasciare parte di me. E non è proprio questo, ciò che volevo sin dall’inizio?

E ciò che porto con me “nella cassa”, è davvero ciò che voglio salvare di me, è rivedere, ribadire, cosa per me sia importante, e cosa no.

Fino a qualche giorno fa continuavo a rimandare la scelta, con la scusa di motivi “logistici”.

Perchè scegliere, impacchettare, significa fare un’azione concreta, il primo passo fisico verso la mia partenza. Perfino le dimissioni, la firma del contratto, le chiacchiere, l’anticipo dell’affitto o l’acquisto del biglietto aereo (per la cronoca: Ryanair, sola andata, zero euro più tasse), sono atti “virtuali”.

Ora si inizia davvero a fare sul serio. Poi ci sarà la consegna della macchina, il viaggio, i documenti da fare, il corso di Svedese da cominciare…

Ma, paradossalmente, più passa il tempo e più sono sereno: sta finendo il tempo in cui ci si deve preoccupare delle cose, inizia il tempo di FARE.

Ma non finiscono le riflessioni di quell’uno per uno per uno: la cassa è in viaggio (sciopero dei trasportatori a parte), con tutto ciò che teoricamente mi è essenziale. E allo stesso tempo, mi accorgo che si continua a vivere lo stesso. Voglio dire, certo, è tutta roba comoda e utile, ma se anche la cassa andasse persa, non credo che mi sentirei particolarmente afflitto (beh, oddio, un po scocciato sì). Questo cosa vuol dire? Che ciò che per me è veramente è importante, ciò che voglio portare con me, è ciò che ho dentro di me. Io non sono le cose che possiedo.

Per questo stesso motivo, non sono particolarmente malinconico. E’ vero, alcune cosa cambieranno, sarà più difficile vedere le persone care, gli amici, allo stesso modo, ma si sarà più.. consapevoli.

La chiusura del coperchio di una cassa è troppo simile al voltare di una pagina. Ciò che salvo è al sicuro dentro di me, è letto, è acquisito, per il resto c’è un mare di pagine bianche.

C’è un profondo senso di libertà in questo. E di assunzione di responsabilità nei confronti della propria vita.

Avanti.

Casa numero 2

Finalmente questa settimana ho firmato il contratto per la mia “casa numero due”, ovvero la mia seconda casa a gestione autonoma.
Il contratto di affitto è un po corto, dato che copre fine di Giugno, Luglio e Agosto, ma è quanto serve per trasferirsi. Durante Agosto vedrò di identificare casa numero 3, che dovrebbe essere decisamente più duratura. Questo mi permetterà di guardarmi un po intorno prima di scegliere, anche se per alcuni aspetti dovrò rimandare delle decisioni: se serva o meno l’auto, e l’attivazione della ADSL. Nell’attesa, spero di trovare delle reti WiFi compiacenti 🙂

Casa numero due si trova sulla strada che collega Bromma, il quartiere in cui lavorerò, all’isola di Drotttingholm, sede di un palazzo reale in stile Versailles o Schönbrunn. Come quasi tutti i quartieri esterni della città, le case sono organizzate lungo una via principale e una rete di piccole traverse circolari, immerse in un mare di alberi. Da questa particolare strada non si vede il mare (o lago, o fiume, o quel che è) ma in compenso è a poca distanza dall’ufficio (basta attraversare un parco), dalla fermata della metropolitana o dell’autobus.

Potete avere un’idea della geografia del luogo consultando la neonata Stoccolmappa, mio personale blocco degli appunti geografico della città.

La casa in sè è un bilocale al piano rialzato. Non nuovissimo, ma molto molto luminoso; consiste in un ingresso / sala con divano e piccolo balconcino, una camera da letto con due curiose finestre ad angolo, un cucinino, un bagno ristrutturato da poco e un ripostiglio. L’arredamento immagino sia tipico delle case in affitto estivo, un po moderno (la cucina, ad esempio) un pò… vintage, come le sedie ed il divano della sala.

Anche se noto una preoccupante assenza di tavolo e sedie, e per la dimensione l’affitto non è esattamente equo canone, sembra proprio un posto carino per avviare la propria residenza.

Qua sotto le foto che mi sono state mandate. Sono scattate con un cellulare, per cui la risoluzione è bassissima, ma dovrebbero rendere l’idea.

Madame Ba, Erik Orsenna

Immagine di Madame Ba 18 caselline, in questo si riassume la richiesta di visto (modulo 13-0021) che Madame Ba deve compilare per poter lasciare il suo paese, il Mali, ed entrare in Francia, per recuperare un suo nipote.
18 caselline in cui non può rientrare una persona, una vita intera, la sua essenza, e le storie che l’hanno formata. Per questo motivo Madame Ba, con l’aiuto di Mr.Benoit, compila una sua personale e dettagliata versione del modulo, indirizzata al presidente dell’onorata Repubblica Francese, in cui descrive se stessa e le motivazioni che la spingono al viaggio.

In questo libro si parla dell’Africa, e nello stesso tempo di un altro continente, misterioso, inesplorato, ricco di calore, tragedia, poesia, disperazione, fatica, pieno di contraddizioni e sofferenza, di coraggio indomito, di caparbietà, di amore, di odori, di libertà, di sensazioni, più volte abusato e venerato, assolutamente impossibile da comprendere nella sua essenza per chi vi si approccia dall’esterno: la donna.
Donna ed Africa si confondono, si sovrappongono, sono indistinguibili.
Madame Ba, come la sua lontana antenata Lucy, è l’Eva ancestrale, madre universale.

Un libro veramente intenso, in cui con un tono semplice, leggero e naif si raccontano drammi e felicità di una persona, di una popolazione, di un continente intero, e del suo rapporto con il resto del mondo occidentale e progredito, in questo caso la Francia, ma anche un libro in cui, se davvero si ascolta quello che si legge, si intravede, si impara a conoscere e a rispettare, un universo intero.