Lighthouse Inn, Killbaha, 22 Luglio 2006, 11:00
Stamattina mi sono incamminato sotto un cielo pieno di nuvoloni grigi verso Loop Head, la punta
occidentale della contea di Clare. Alla mia sinistra, prati immensi decorati qua e là da gruppi di
mucche e da qualche cavallo che scorrazza.
Alla mia destra impervie scogliere e faraglioni. Durante un’esplorazione ho incontrato un temerario
pescatore che, seduto sul ciglio, gettava la lenza “so quanti” metri sotto.
Arrivato al fare, che non è aperto ai visitatori, torno indietro lungo la costa est fino a Killbaha,
per fare colazione. Al bancone c’è un altro di quei pescatori dall’età indefinita e dalla barba
bianca (però questo è davvero un pescatore, non lavora in cucina), che discutendo con la proprietaria
concorda nel definire la giornata di oggi “breezy”, che si potrebbe tradurre approsimativamente con
“ventilata”. In realtà , quando dall’altro lato del locale qualcuno apre la porta esterna, mi vola
letteralmente via il cestino del pane!
A più riprese, da dietro il bancone spuntano versioni in età diverse della padrona di casa, tutte con
gli stessi tratti del volto. Ne ho contate cinque, dai 7 ai 20 anni.
Il locale 20 metri più a ovest si autoproclama “il locale più vicino a New York”.
B&B da qualche parte a Nord-Ovest di Kinvara, 22 Luglio, 22:40
Giornata ricca di emozioni: dopo le scogliere di Loop Head che dovevano essere soltanto un anticipo,
ero pronto per un altro piatto forte del turismo, le Cliffs of Moher. In pratica, LE scogliere
irlandesi.
Sono passato per Lahinch, per assistere a sorpresa ai tentativi di decine di persone di fare surf.
Nel frattempo il vento calava, il sole iniziava a fare capolino, e le onde si ingrossavano. Perfetto!
Secondo la Lonely Planet il punto migliore per vedere le Cliffs of Moher è Hag’s Head, che segna
l’inizio di quel tratto di costa. Suggerisce quindi di prendere un non ben meglio identificato
“sentiero sulla sinistra”, arrivare in cima alla collina e poi proseguire verso ovest.
La collina, come tutto il versante occidentale, è ricoperta dai classici muretti a secco, che
delimitano campio non più grandi di 100 metri per 100. In mezzo corrono stradine, alcune chiuse,
alcune asfaltate, altre no, altre con cancelli. Dopo un po di girotondo mi sono arreso e sono tornato
sui miei passi, incrociando altri turisti con lo sguardo perplesso e la Lonely in mano.
Ritornato sulla strada principale, dopo poche centinaia di metri vedo un enorme cantiere, molto
simile a quelli per la variante di valico dell’autostrada sugli appennini tosco-emiliani. Decido di
non chiedermi cosa stiano facendo ed entro in un parcheggione dal quale la gente sciama ininterrotta
e variopinta verso le colline. Mi accodo (parcheggio:5â¬), e seguendo un sentiero recintato da una
rete metallica da un lato e da mucche dall’altro, arrivo sulla sommità delle scogliere ed ho un
brivido, ma non del tipo che mi aspettavo, cioè di piacevole sorpresa, ma di ribrezzo.
Su tutta la sommità corre una strada lastricata, con un muretto protettivo. Fra il parapetto e la
scogliera ci sono 4/5 metri di terreno nudo e devastato da migliaia di impronte e cartacce.
Un manifesto spiega che il turismo stava distruggendo la sommità , e che con il nuovo progetto (che si
concluderà a inizio 2007) si cerca di salvare il salvabile, “arginando” i pedoni, e ripristinando il
micro eco-sistema sul bordo delle rocce.
Il cantiere più sotto è quello in cui stanno scavando la roccia per realizzare un Visitor Centre
semisotterraneo, perchè impatti meno sul paesaggio.
Ora, magari stanno facendo la cosa più giusta per conservare quanto è rimasto, ma ormai le Cliffs of
Moher impervie e selvaggie sono sparite per sempre.
Mi aggiro nello stracolmo negozio di souveniur, per guardare con malinconia le cartoline con
fotografie di qualche anno fa, poi riparto.
Verso nord, dopo Doolin, mi aspetta una regione particolare, il Burren. Secondo la guida, Cromwell
commentò così il paesaggio, nei suoi resoconti: “Una terra selvaggia, senza acqua sufficiente ad
affogare un uomo, nè albero per impiccarlo, nè abbastanza terra per seppellirlo”. Poi, probabilmente,
si rilassò sterminando qualche villagio.
Si tratta di una regione carsica, formatasi milioni di anni fa, quando in questa zona c’era un mare basso e caldo. Conchiglie e coralli si sono depositati sul fondo, formando uno strato di roccia uniforme. I movimenti tettonici l’hanno portata in superficie rompendola con lunghe crepe, che l’erosione ha allargato e arrotondato.
L’effetto finale è questa distesa di pietra, con miliardi di fessure reticolate nelle quali crescono fiorellini di tutti i colori. Lo spettacolo è mozzafiato, soprattutto quando la roccia incontra il mare e le onde vi si infrangono, incanalandosi in mille rivoletti e soffiando improvvise su dai “blowholes”.
Ho costeggiato il Burren fino a Ballyvaughan, per poi addentrarmi nella zona centrale.
Ho visitato le caverne di Aillwee, dove gli orsi decine di migliaia di anni fa andavano in letargo. Niene di impressionante se siete stati a Frasassi, ma comunque una diversione interessante.
Da lì ho continuato fino al Poulnabrone Dolmen, la tomba a portale più ben conservata e famosa d’Irlanda, risalente al 4/5000 A.C..
Lì devo essere caduto nello stesso stato d’animo di chi vede per la prima volta dal vivo la Gioconda: “Bello eh, per carità , ma lo facevo più grande”.
Sono sceso per una strada divera, attraverso un paesino di nome Carron, perchè l’altra attrattiva nei paraggi, un forte di pietra ad anello a gestione familiare (praticamente hanno deviato il sentiero attraverso il loro salotto, con ingresso gratuito ma guida a pagamento obbligatoria) era chiusa.
Arrivato a Bellharbour mi rendo conto del fatto che per cenare devo tornare a Ballyvaughan, così percorro all’indietro il pezzetto di costa che avevo saltato, e ceno da O’Brian.
All’uscita dal pub mi ritrovo in un mondo magico ed effimero: il sole inizia a tramontare, ed illumina le nubi da sotto, con una luce dorata che fa splendere ogni cosa. Mi fiondo alla Corcomroe Abbey, o perlomeno a quello che ne resta, facendo qualche scatto. Non sono ancora abituato al fatto che queste rovine, essendo comunque terreno consacrato, siano utilizzate anche oggi come cimitero.
Dopo il tramonto lascio la contea di Clare per entrare in quella di Galway, e trovo un B&B da qualche parte nei campi, sulla penisoletta a ovest di Kinvara. L’ostello nel quale mi sono fermato lungo la strada era pieno, ma ho potuto assistere allo spettacolo di una ragazza che cantava vecchie ballate in gaelico, e girava per vendere i suoi CD.
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