Diario d’Irlanda, 21 Luglio 2006

21 Luglio, Dingle - KillrushKelly’s Pub, Killrush, 21 Luglio 2006, 20:45

La mattina si è aperta con uno stupendo cielo lipido. Dall’uscita dell’ostello, guardando verso sud,
si vedono le Skellig Island galleggiare nell’atlantico. Mi fermo in paese a fare colazione e a
comperare una guida della penisola (poi rivelatasi inutile) e un cofanetto di CD di musica
tradizionale, poi rivelatasi una pessima scelta.
Nel frattempo sono tornate le nuvole, ma alte nel cielo ed estremamente veloci nel vento, contribuendo
a diffondere magia sul paesaggio, con improvvisi sprazzi di sole a illuminare dettagli, come guidati
da una sapiente regia.
Non è facile descrivere le sensazioni che si provano in questo posto. La strada si stringe ai fianchi
delle scogliere. Ogni curva svela una nuova sorpresa, un promontorio, isolette, persino una
crocifissione a grandezza naturale incastonata nella parete di roccia.
Il cielo è grigio striato di un azzurro violento, colline verdissime ndeggiano dolcemente per poi
precipitare in un mare zaffiro cupo, mostrando le loro fondamenta di roccia scura.
Qua e là falci doare di spiaggie cercano di contenere specchi d’acqua verde pallido, variegati di
spuma.
Su tutto, il fragore delle onde, il richiamo dei gabbiano, ed il soffio del vento.v
Mi sono arrampicato sulla vetta di un promontorio, e sotto di me le Blasket Islands giacevano sparse
sul mare come cocci. Da lassù sembrava di poter toccare il cielo con un dito, e oggi ho capito come
può essere nata quell’espressione!
Ogni tanto cadeva una spruzzata di pioggia gentile, ma nulla che disturbasse, anzi.
Sulla penisola di DIngle le attrattive sono molte, oltre a quelle naturali: tutto il territorio è
cosparso di costruzioni che vanno dal I, II secolo ai giorni nostri. Il più conosciuto è il Gallarus
Oratory, una chiesetta del sesto / settimo secolo costruita esclusivamente con pietre a secco, a forma
di barca rovesciata.
Ha resistito per 1200 anni, praticamente in riva all’Atlantico, senza accusare una sola infiltrazione
d’acqua!
A dominare la penisola il monte Brandon, sul qual San Brandon (?) nel 500 DC, si preparò per un
viaggio suggeritogli da Dio in persona per raggiungere la terra promessa.
Salpò dalla piccola baia di Brandon Creek, sul versante opposto del Brandon Point, per raggiungere in
13 mesi le coste orientali del Canada. Ne tornò con una descrizione precisa del percorso, che coincide
con le isole Faroes, le Shetland, l’Islanda, la Groenlandia e Terranova.
Negli anni 80 uno studioso costruì una nave con le tecniche dell’epoca (legno e cuoio), e ripetè
l’impresa, dimostrando quindi che l’avventura di S.Brandon non solo è possibile, ma anche
probabile.
L’uscita dalla penisola di Dingle passa per il Connor Pass. E’ incrdibile come in tre o quattro
chilometri si possa passare dalla spiaggia a un ambiente quasi alpino! Sul versante occidentale la
strada sale dolcemente, in un imbuto verde sulle pareti del quale si vedono, quasi in verticale,
tracce degli onnipresenti muretti a secco. Avranno avuto il coraggio di coltivare anche quassù?
Sulla cima piove, in basso Dingle è illuminata dal sole, e l’autoradio canta “Somewhere over the
Rainbow”.
Sul versante occidentale le pendici delle montagne sono più brulle, e la stradina scende aggrappata al
fianco destro, zig-zagando per evitare massi e minuscoli recinti di pecore al pascolo.
In basso – molto più in basso – alcuni laghi riflettono le nubi, ognuno con la sua corolla di muretti
e resti di abitazioni.
Giunti in fondo, la strada costeggia delle larghissime spiaggie deserte, con l’acqua del mare che
cambia colore ad ogni sguardo: Cloghane, Cappaleigue, Castelgregory.
Da Camp, poco oltre, parte una strada che taglia la penisola dritta verso sud. Secondo la cartina, in
8 Km potrei ritrovarmi dov’ero circa 120Km fa!
Non la trovo subito, prima imbocco la N86 trafficata da camper e camion. Mi rendo conto di aver
sbagliato e torno indietro, per scoprire che quello che sembra l’imbocco di un giardino, dietro a un
distributore, in realtà è l’inizio della strada.
Lo imbocco, e procedo per un paio di chilometri lungo questo viottolo largo appena a sufficenza per
fra passare Ronzinante. All’improvviso sbuco ai piedi di una valle erbosa, con la strada che si
inerpica quasi a 45°! Arrivato lassù, sotto lo sguardo incuriosito di alcuni caproni Punk (i
proprietari, per riconoscere il proprio bestiame, lo colorano con bombolette spray fluorescenti blu,
verdi, gialle, rosse, o con combinazioni di queste) posso vedere il mare sul lato opposto, e poco
oltre la penisola del Kerry.
Mano a mano che si scende, le pendici della valle si aprono come un sipario, fino a farmi intravedere
la meravigliosa spiaggia di Inch, conosciuta il giorno prima. Per non allungare troppo la strada per
Tralee, e soprattutto perchè su quelle stradine senza guardrail sulle quali una macchina e una pecora
non possono stare affiancate, mi sono divertito come sulle montagne russe, faccio inversione e ritorno
a Camp, e da lì a Tralee.
E’ in quel momento che accade l’inaspettato: non pensando di arrivare a Tralee nella giornata di oggi,
non ho studiato la strada, e non so dove andare!
La statale è trafficata, e non posso accostare per guardare la cartina.
Trascinato dal flusso delle altre auto, comincio a imboccare le rotonde come un ragazzino che giochi a
mosca cieca, fino a perdere del tutto l’orientamento. Per fortuna vedo l’insegna di un Pub con un
parcheggio libero davanti, mi fermo e mi metto a studiare la guida e la cartina. Il barista mi chiede
“Are you lost?” “Ti sei perso?” e io, sorridendo rispondo di no. Dopo 10 minuti, durante i quali
decidevo se allungare per Limerick o meno, torna e mi dice “Admit it, you’re lost!” “Ammettilo, ti sei
perso!”. Ma ormai la decisione è presa, non ho proprio voglia di visitare altre città .
Faccio un salto al Carrigafoyle Castle, un castello tardo medievale costruito su quella che all’epoca
era un’isoletta dell’estuario del fiume Shannon.
Ora è ai piedi di una collinetta, dal quale il sempre più simpatico Cromwell lo bombardò, nel 1649,
per massacrarne gli occupanti.
Uno dei suoi quattro lati è aperto, mostrandone le strutture interne come nello spaccato di un
disegno. Una larga scala a chiocciola porta in un’ampia stanza – pardon – terrazza, dal quale si vede
parte dell’estuario.
Sembra sia stato restaurato da poco (almeno non si ha il dubbio che possa cascartene un pezzo in
testa, come al Ballycarberry Castle), c’è un cartello con gli orari di visita, ci sono porte e
pavimenti in legno nuovi, ma l’unico custode è il registro dei visitatori appoggiato sul davanzale di
una finestra.
Vado a Tarbert per prendere il traghetto che mi farà risparmiare un bel tratto di strada, e arrivo a
Killrush.
In realtà il posto più turistico sarebbe Killkee, pochi minuti oltre, ma preferisco un posto più
tranquillo. In effetti, si rivela MOLTO più tranquillo: è venerdì sera e le strade, seppure molto
graziose, sono deserte.
L’ampia piazza scende fino alla Marina (il porto) dalla quale salpano spedizioni di avvistamento dei
delfini.
Ho trovato posto nell’ostello più centrale, per 14 euro, dove condivido la camera con un ragazzo
francese che è qui da due mesi a lavorare in un pub per la stagione turistica.
Una zuppa di pesce, due pinte, ed eccomi qua!

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