Devo confessare che ero un po spaventato, mi ricordavo di certi commenti letti qua e là non proprio lusinghieri. Così mi
sono trascinato la cosa per un po, ma sabato sera finalmente mi sono guardato
Dogville, di Lars Von Trier.
Dogville è un villaggetto di 15
abitanti (e un cane), abbarbicato su una pendice di una montagna del
Colorado, cresciuto intorno ad una vecchia miniera d’argento.
In questa
microscopica comunità ciascuno ha la propria funzione, e sembra che tutto vada
nello stesso modo da sempre.
Una notte però, dopo alcuni spari,
piomba in città una ragazza dal passato misterioso, Grace, che farà di tutto per
essere accettata come nuova cittadina.
Solo che non esiste un lavoro per
lei, così i cittadini si prestano generosamente per invientare qualche
occupazione per lei; tutto va per il meglio, ma poco dopo… Dogville mostrerà i
suoi denti.
Beh, direi che sia stato un buon
investimento: il film è praticamente una rappresentazione teatrale, dato che si
svolge tutto su una mappa in scala 1:1 del paese.
Sul pavimento ci sono
segnate le mura delle case, i nomi delle vie, persino i cespugli di uva
spina…
Attraverso questi muri immaginari, in ogni momento del film, si vedono
i 16 abitanti occupati nelle loro faccende, con nessun elemento “fisico” in più
di quanto serva, mentre in
sottofondo si sentono i vari rumori, il vento, il cigolare delle porte, e
l’onniscente narratore, che ci accompagna attraverso i nove capitoli della
storia.
All’inizio si rimane un po spaesati,
ma poi la bravura degli attori, le luci, e la fotografia cominciano a far
lavorare la fantasia, e ci si trova immersi nella propria Dogville…
mi sembra di vederlo da qui, il meleto sul lato della montagna…
Frammezzate, poi, ci sono
inquadrature di Dogville dall’alto, nelle quali i personaggi si muovono tipo
“mappa del malandrino” di Harry Potter, ed altre soluzioni originali di regia,
che mi piacciono molto nei film.
Nicole Kidman, fra l’altro, si
conferma la solita magistrale attrice!
Il film tratta di argomenti (anzi,
argomentazioni) molto pesanti, come l’ingratitudine, la profonda
essenza della malvagità umana, la capacità di ciascuno di distorcere la realtà ,
sia per ingannare la propria coscienza che per fare in modo che essa
sopravviva, e del perdono.
Riconosco che non è un film da
affrontare a cuor leggero, ma mi sono stupito molto quando mi sono accorto che è
durato quasi tre ore!
Il fatto è che sono stato coinvolto
profondamente, e mano a mano che la trama si sviluppa verso il finale i
sentimenti si riincorrevano e si accavallavano…
La rabbia, la compassione,
la pietà , la frustrazione…
Se avete voglia di affacciarvi su un
po di pessimismo cosmico, che non mancherà di appagarvi nel finale se siete un
tantino misantropi, non perdetevi assolutamente questo film!
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Che Dogville si celi in ognuno di noi?
Dogville è anche il nome delle nostre città, dei luoghi in cui lavoriamo, dell’edicolante in fondo alla strada, di nostro padre, dei nostri cuori. Non esiste modo di confinare l’ indifferenza, l’insensibilità, la meschinità o peggio la mediocrità scambiata per morale.
Non esiste nascondiglio, città, lavoro, famiglia, credo, in grado di serbare la natura anche violenta dell’uomo.
Che sia la paura dell’Altro, del diverso da sé, ad essere così poderosa da trasformarlo in un nemico, in grado di turbare il nostro fetido e fittizio equilibrio? La paura risiede nel presentimento che l’Altro possa un giorno scorgere ciò che nemmeno noi osiamo vedere di noi stessi. E se agli occhi dell’Altro risultassimo tanto meschini quanto coloro le cui vite condanniamo o vorremmo redimere?
E se l’Altro nel semplice mostrarsi svelasse i fantasmi che tanto gelosamente tentiamo di celare, come reagiremmo? Negheremmo, fuggiremmo, o lo puniremmo facendogli credere di essere la causa del puzzo che il nostro passaggio sprigiona. Difficilmente ne ammetteremmo l’indispensabilità, senza di Esso e il confronto con Esso i nostri affanni così come i nostri rigidi schemi perderebbero di senso, il nostro essere non esprimerebbe le sue molteplici e antitetiche sfaccettature.
L’Altro assume dunque una duplice valenza: è sia amico che acerrimo nemico.
AccoglierLo significa far crollare le nostre difese così da permettere che sfiori, seppur brevemente, la nostra Anima rischiando di incrinarla almeno un pochino per cogliere la eco della Sua.
Lisa