Da dove sto chiamando?

Forse avrete visto “American Stories” (Short Cuts, in lingua originale) di R. Altman, o forse no…se l’avete visto, quasi sicuramente avrete subito un senzo di “spiazzamento”, un continuo “c’è qualcosa che non va” che va oltre il fatto di assistere ad un film dalla sceneggiatura curiosa e confusa.
Comunque sia, il film è più o meno liberamente la trasposizione di racconti di Raymond Carver; i “migliori” suoi racconti sono raccolti in questa “autobiografia”, curata e limata all’inverosimile dall’autore stesso.
Questo libro è, a mio sommesso avviso, sconvolgente. Difficilmente avrete letto qualcosa di simile. Per descrivere la sensazione che si ha durante la lettura, io solitamente dico (solitamente, perchè questo libro l’ho consigliato ad un sacco di gente, anche se ora che ci penso non tanti sono tornati a ringraziarmi…) che è come se l’autore scrivesse i 2/3 delle cose che servono – o che si pensa che servano – per far “capire” la “storia” del racconto. Lo spunto normalmente è di una normalità americana disarmante, che alle volte rasenta lo squallore; il racconto comincia come se prima voi già aveste letto una dozzina di pagine, e finisce lasciandovi boccheggianti? Ma come? E poi? E che vuol dire? E che succede? All’inizio è molto faticoso – è uno dei pochi libri che mi hanno visto rileggere una pagina prima di andare avanti, per vedere se mi ero perso qualcosa – ma dopo un po’ si entra nella mentalità e nell’ambiente dell’autore (volevo dire nell’ambiente mentale dell’autore, o spendere un “milieu”, ma mi sembrava troppo da sborone…), e si comincia a “sentire”, più che a capire veramente, quello che sta oltre. Vagherete nella sfiga alcoolica della provincia statunitense più profonda, arriverete ad immaginare quello che potrebbe capitare ed il perchè. Un’esercizio di telepatia libraria.
Il libro regge egregiamente la seconda lettura, che risulta meno faticosa – ma meno evocativa; nuovamente si ha la sensazione di catapultarsi in una lontana veranda, su una scomoda sedia, al far della sera, rigorosamente con un bicchiere di whisky in mano, probabilmente una canna ed un uomo o una donna di fronte che vi fanno emergere malesseri profondi ed insospettabili fino a 5 minuti prima.
Non è facile spiegarsi, perchè è un libro che dice poco ma da’ forti sensazioni…e quelle sono difficili da descrivere. Se amate libri che “vi fanno pensare”, nel senso che la mente vaga cercando tra le righe, e si crea una immagine della scena, beh, questo è il vostro libro. Non lo affrontate se volete una storia che non vi costringa a pensare a cosa c’è fuori, un libro che dice tutto. Prendete Dostoevskj – Delitto e Castigo, e Zola – Il ventre di Parigi, metteteli sotto una pressa. Se ne uscirà un raccontino di 5-6 pagine, probabilmente avrà le firma di Carver.